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Attività

Immigrazione e integrazione: tra opportunità e conflitto sociale

    • Roma
    • 9 Marzo 2016

          Gli stranieri presenti attualmente in Italia sono circa cinque milioni – 8,2% della popolazione residente – e contribuiscono al PIL nazionale per l’8,8%. I numeri raccontano di una presenza di immigrati pari al numero di italiani residenti all’estero e di un contributo economico di rilievo,  che si ripercuote anche sul sistema di welfare.

          Vi è poi un’altra rappresentazione della realtà che, per motivi contingenti, narra principalmente di un fenomeno la cui recente esplosione numerica spinge con forza alle porte dell’Unione Europea. Agli immigrati in cerca di maggior fortuna si sono aggiunti i profughi in fuga da guerre civili, da vecchie tirannie e da nuovi integralismi. Un flusso destinato a continuare nei prossimi anni e che ha messo in crisi le società occidentali, ancora incapaci di arrendersi al fatto che l’immigrazione è un fenomeno strutturale la cui soluzione richiede politiche coraggiose e lungimiranti.

          L’Unione Europea sino ad ora ha operato, a volte in maniera contraddittoria, attraverso iniziative volte a fronteggiare l’emergenza. Continuare su questa strada non porterà a vere soluzioni ma a costi, non solo economici, non facili da recuperare.

          Vi è necessità di una leadership in grado di fare scelte fuori dagli interessi elettorali contingenti e di concordare strategie piuttosto che accordi di corto respiro. I leader da soli però non bastano.  È necessario che le società siano messe in grado di conoscere il fenomeno e che questo venga narrato e dibattuto con la maggiore onestà possibile. Se il contributo del servizio pubblico nella narrazione è fondamentale – istituzionale secondo molti – lo è altrettanto l’impegno della classe dirigente, politica e imprenditoriale, nel discuterne evitando gli eccessi propagandistici.

          Solo così la collettività potrà essere consapevole che l’immigrazione è sicuramente un fenomeno problematico nella sua gestione, ma rappresenta anche una occasione.

          Se, come è stato detto, siamo in presenza di un flusso impossibile da arginare con vecchi e nuovi muri, varrebbe allora la pena tentare di incanalarlo positivamente. Due strumenti sono ritenuti fondamentali: l’istruzione e il lavoro.

          La politica di investimenti sulla scuola intrapresa dall’attuale governo può essere maggiormente efficace se prevedrà accresciuti investimenti in quelle aree dove i figli di immigrati di prima generazione sono più presenti.

          Per quanto riguarda il lavoro, vi sono alcuni aspetti importanti da cui non è possibile prescindere. In Italia si registra una carenza di lavoratori “low-skilled” e high-skilled”. I primi sono necessari a coprire quelle mansioni per cui i lavoratori autoctoni non sono più sufficienti. I secondi sono, invece, il risultato del mix “brain-drain” e “brain-gain”: i giovani laureati emigrano per cercare maggior fortuna e l’Italia patisce la scarsa capacità di attrarre figure altamente qualificate.

          Un secondo aspetto – che attiene anche al welfare – è l’invecchiamento della popolazione. Da una parte, aumenta la richiesta di personale per servizi assistenziali e, dall’altra, diminuisce costantemente il numero delle persone in età lavorativa (20-64 anni). Negli anni ’70 questi erano i dati: 5 persone in età lavorativa per ogni addetto oltre i 65 anni;  oggi il rapporto è di 3 a 1 e si prevede che nel 2050 il rapporto sarà di 1,5 a 1.

          Gli immigrati rappresentano una forte risorsa di manodopera, principalmente low-skilled, e contribuiscono con un saldo attivo al welfare italiano. I dati attuali mostrano che versano più di quanto ricevono e alcuni di loro lo fanno a titolo gratuito in quanto per varie ragioni, rientrati nei paesi di origine, non richiedono quanto maturato.

          È fondamentale tuttavia non cadere nell’insidia contenuta nella premessa: il fenomeno contingente non può essere preso a norma. L’analisi delle politiche di integrazione non può prescindere dal raffronto tra un flusso migratorio in crescita nei prossimi anni e le proiezioni sulla capacità del mercato del lavoro, del peso futuro sul welfare e di altri fattori sociali e territoriali.

          Analisi che, solo se fatte al di fuori del frontismo di maniera, caratterizzato dal “buoni-cattivi”, potranno portare a scelte efficaci e a vera integrazione.

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