Vai al contenuto
Attività

Identità culturale e lingua italiana

    • Roma
    • 25 Giugno 2008

          La forma e la bellezza, la gioia e la pazienza nella sofferenza, il senso del reale, l’allergia a certe forme di retorica, la lontananza dall’astrazione e il rifiuto di una “tradizione psicologica”: sono questi alcuni dei tratti distintivi che nei secoli hanno contribuito a creare un’identità italiana, quella, per intenderci, che affascinava personaggi, noti e non, del bel mondo europeo e li induceva- quasi soggiogati da una sorta di imperativo categorico – a compiere il famoso “Viaggio in Italia”. E se questo è stato il percorso principe dell’identità italiana anche la lingua ha attraversato nei secoli un itinerario parallelo, peraltro un po’ anomalo e caratterizzato da alterne vicende. Se dal Petrarca fino ai grandi del ‘500 la lingua italiana è famosa nel mondo anche perché portatrice – soprattutto nel Rinascimento – di una supremazia politica ed economica universalmente riconosciuta, nei secoli successivi vive invece un lento declino. Fino ad arrivare all’800, quando è lo stesso Leopardi a riconoscere l’assenza di una lingua che spetterà poi a lui e al Manzoni reinventare con grandissimo ingegno. Dalla “ricostruzione” dell’800 si arriva all’era moderna: oggi la lingua – espressione comunque dell’identità nazionale – vive un momento potenzialmente propizio fatto di ricchezza, agilità flessibilità e grande attitudine melodica. Deve però guardarsi da seri rischi: standardizzazione, banalizzazione e povertà del lessico, anglicizzazione eccessiva, crescita di varie lingue settoriali, soprattutto quella bolsa e retorica degli atti giudiziari, quella gergale delle tecnologiche,quella povera, sgrammaticata, infantile ed emozionale di alcuni esempi di tv spazzatura e quella un po’ stucchevole dell’aziendalismo anglofono. Non esiste, di fatto, una ricetta unica per difendere e promuovere l’identità e la lingua italiana. Si può però partire dallo sfatare dei falsi miti. Se è vero che l’emergenza rifiuti a Napoli non fa bene all’immagine del Paese è anche vero che l’identità italiana nel mondo è forte e di successo: creatività, moda design capacità imprenditoria dei grandi marchi sono la dimostrazione che non tutto è “mondezza”, anzi. E da questo genere di successi deriva anche l’obiettiva crescita della domanda di conoscenza della lingua italiana all’estero. Sono, infatti, in aumento coloro che frequentano corsi di italiano. Al tempo stesso non va dimenticato il ruolo di integrazione che gli immigrati attribuiscono alla lingua: parlare un corretto e fluente italiano non solo, secondo alcuni, diventa un autentico godimento intellettuale, ma serve anche ad ottenere rispetto nella vita quotidiana privata e professionale che un immigrato altrimenti difficilmente raggiungerebbe. L’italiano, quindi, va promosso e difeso rilanciando una “politica linguistica”, una tutela vera del patrimonio della lingua: non si tratta, come qualcuno ha voluto intendere in passato, di nazionalismo di derivazione fascista, ma di una vera garanzia di difesa e strumento di sviluppo per un ricchezza nazionale che va di pari passo con la tutela del grande scrigno d’arte a cielo aperto che è il nostro Paese. In questo contesto molto può e deve fare il sistema formativo: modificando innanzi tutto l’assetto del sistema universitario dove la riforma dei corsi di laurea triennali e biennali ha assestato un quasi definitivo colpo alle speranze di avere laureati colti e preparati in linea con la qualità del sistema europeo. In secondo luogo è necessario lavorare sulla formazione dei ragazzi delle superiori, non dimenticando che ormai il loro lessico si ferma a poche centinaia di parole così come i loro colleghi universitari raramente sono in grado di elaborare correttamente un testo scritto in italiano. E il futuro – sostengono alcuni – non è roseo: difendere la lingua vuol dire oggi solo preservare un’esigua minoranza che parla un italiano colto. Un italiano, peraltro, che sempre più viene escluso dal novero delle lingue ufficiali nei consessi internazionali, dimenticato nei comunicati stampa di Bruxelles: e qui la questione non è più culturale, ma essenzialmente politica. E politicamente va risolta. Prendendo magari esempio dai secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento quando la forza politica ed economica delle corti italiane aveva fatto della lingua un efficace portavoce del proprio prestigio.

            Contenuti correlati
          Strillo: Identità culturale e lingua italiana