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Attività

I consumi tra sostenibilità e nuove tecnologie

    • Venezia
    • 22 Maggio 2015

          Non si può negare che sia in atto un grande cambiamento paradigmatico cui hanno indubbiamente contribuito la crisi e l’irrompere delle nuove tecnologie. Sono quindi a disposizione una maggiore quantità di informazioni, accessibili a un gran numero di persone e si assiste ad un potenziamento della relazione tra “pari”. Questo significa che, sempre più spesso, per decidere un acquisto, anziché un altro, il consumatore si affida maggiormente al parere di altri consumatori, che hanno testato concretamente il prodotto, piuttosto che alla comunicazione che arriva dalle aziende ritenute, per ovvie ragioni, “di parte”.

          I forum, le brand communities, i blog, i social network, tra cui Facebook, si sostituiscono sempre più spesso all’impresa facendo da tramite tra soggetto e bene.  Ne risulta, quindi, che le imprese, per conquistarsi  e mantenere credibilità, devono impegnarsi più che in passato, pena la mancata fiducia del consumatore.

          Le imprese devono quindi prendere coscienza che il  cambiamento è ormai strutturale e  impone un ripensamento della figura del consumatore. Sempre meno tale e sempre più persona e quindi attento alle relazioni, all’ambiente e al comportamento delle aziende, la cui reputazione assume un valore fondamentale nelle decisioni di acquisto, sempre più connotate da un punto di vista etico e  sovente ispirate a dimensioni di sostenibilità, di responsabilità e di spiccata relazionalità.

          Da un passato all’insegna dell’individualismo, di un consumo narcisista e solitario si passa a un futuro relazionale in cui entrano la pro-attività, la convocazione, la voglia di un progetto, contrapposto alla logica dell’evento fine a se stesso e, appunto, la credibilità. Di qui la necessità di azioni di marketing, in un logica di communication mix, davvero pensate per questa nuova figura di consumatore, attente al sociale in un’ottica di Societing.

          L’etimo del termine lusso è riconducibile a due significati, il primo riferito al latino luxus che significa “esuberanza di vegetazione” e metaforicamente “abbondanza di cose deliziose” e al latino lux” ovvero luce, splendore, cui si accosta però anche un secondo significato, che viene dal termine greco loxos,  e che significa “crescere in modo non diritto, obliquo”, da cui “crescere eccessivamente” e, quindi, eccesso in generale. E non dimentichiamo che da luxus deriva luxuria col suo valore negativo di viziosità e di decadenza.

          Un settore quindi, quello del lusso, connotato, nell’immaginario collettivo, tanto in termini positivi che negativi. Indubbiamente si tratta di un concetto dinamico che nel tempo ha cambiato pelle, pur mantenendosi fedele ad alcuni asset fondamentali quali unicità, esclusività, prestigio, heritage e artigianalità. A caratterizzarlo, in questo periodo storico, la dimensione esperienziale che assume un valore sempre più rilevante per il consumatore del lusso. Ecco allora che, ad esempio, la narrazione, attraverso dei semplici video, dei processi che portano alla creazione di un prodotto, assume un significato emozionale di grande importanza e strategicamente premiante per l’azienda. La scelta stessa diventa “un lusso” e per concretizzarsi chiede di essere stimolata in direzioni nuove, che non si accontentino solo della qualità del prodotto, ma che si impegnino nella costruzione di esperienze tali da testimoniare in maniera efficace l’eccellenza del fare aziendale. In tutto questo il made in Italy gioca un ruolo importante, in quanto garantisce un monopolio spaziale e temporale, tuttora di grande appeal all’estero, non riproducibile: vantaggio che però va difeso coniugandolo con l’innovazione.

          La crescita dell’e-commerce, in Italia, dal 2004 al 2014 è stata esponenziale. In dieci anni il fatturato è cresciuto da un miliardo e mezzo a 24 miliardi e mezzo: attualmente sono 40 milioni gli italiani online. Nello specifico, nel 2014 l’e-commerce  è cresciuto dell’ 8% rispetto all’anno precedente e di questo 8% una parte notevole riguarda gli acquisti sui grandi marketplace come, ad esempio, Amazon o E-Bay le cui vendite sono cresciute del 55%. Si tratta di un fenomeno globale, che interessa  tutti i paesi che stanno assistendo alla concentrazione, su queste iperpiattaforme dotate di una logistica propria, di un’ottima qualità del servizio, e molto attente al cliente nonché di  un’offerta ampia. Va notato che sono quasi tutte americane.

          In Italia la situazione si caratterizza invece per essere l’opposto della standardizzazione : le piattaforme italiane sono infatti un esempio di differenziazione, che si manifesta attraverso la nascita di una serie di start-up che offrono esperienze originali all’utente. A tal proposito si può parlare di relazioni generative, ovvero della possibilità offerta dal web, che non è uno strumento di omologazione, di seguire percorsi nuovi, eretici.

          Al di là dell’e-commerce va  notato come il digital sia in Italia una realtà affermata. L’talia rimane tuttora tv-centrica ma proprio la  tv  ha assunto una nuova fisionomia diventando social tv o second screen tv: i suoi contenuti sono cioè socializzati (e quindi commentati) online e spesso visti esclusivamente attraverso il pc o lo smartphone. È, dunque ,fondamentale per l’azienda saper ascoltare quanto avviene nel web,  per parlare con più efficacia al proprio interlocutore, a un consumatore  in cui convivono, ormai in maniera armonica, dimensione off e online. Infine va ricordato che alla convergenza di comunicazione, di promozione e di vendita va affiancata la capacità di sapere leggere i big data che rappresentano una realtà sfidante, ma imprescindibile per le imprese se vogliono davvero dialogare con il loro clienti.

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