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Attività

Fiducia, responsabilità, merito per un’Italia senza guelfi e ghibellini

    • Venezia
    • 22 Maggio 2015

          Fiducia, responsabilità e meritocrazia sono le chiavi di accesso per ricomporre il quadro di un Paese affetto ormai da tempo da gravi patologie e disfunzioni. Le istituzioni non si fidano dei cittadini e delle imprese, di conseguenza la vita politica ed economica è caratterizzata da una iperregolazione crescente. L’eccesso di regole è l’effetto della mancanza di fiducia e, al tempo stesso, produce maggiore corruzione e malaffare. Troppe regole, in molti casi sbagliate e dettate dall’ignoranza, sono anche la causa della serpeggiante incertezza e di un diffuso atteggiamento “depressivo”.

          Si è di fronte ad un preoccupante corto circuito: il parlamento legifera, ma il sistema politico nel suo insieme non gode più della fiducia dei cittadini e del mondo economico. Non è certo il vuoto normativo l’alternativa, né si tratta solo di semplificare o ridurre la pletora di regolamentazione: per tornare ad avere fiducia reciproca vale la pena ripensare una nuova idea della società italiana, partendo dalla Costituzione.

          Quello che oggi manca tra Stato e cittadini sono i corpi sociali intermedi, data la grave crisi di partiti e sindacati. Mancano poi i luoghi della formazione politica ed economica. Lo erano in passato il sistema delle partecipazioni statali, i partiti e le scuole di management delle grandi aziende: pur senza avere l’ENA francese esistevano, giusti o sbagliati che fossero, luoghi deputati alla formazione della classe dirigente. E, soprattutto, esistevano culture politiche ed economiche, un modello di società cui ispirarsi.

          Quello della leadership politica resta uno dei problemi centrali e si è tornati ad un atteggiamento divisivo: in passato le opposizioni accusavano di illegittimità il governo, definendolo incostituzionale, oggi si colpevolizza chi ha rappresentato il passato. Da anni ormai tiene banco il modello carismatico, dimenticando che senza un partito alle spalle il carisma aiuta sì a diventare leader, ma non è sufficiente a lasciare un’impronta significativa: bisogna, infatti, avere un progetto paese e disegnare il percorso formativo in grado di sostenerlo. Contano ancora molto peraltro i tradizionali percorsi che passano per la “palestra“ delle amministrazioni locali. Ma senza struttura partitica viene anche a mancare un ascensore sociale importante che permetteva di accedere alla politica non soltanto alle classi medio-alte.

          Se da una parte sembra scomparsa la lotta di classe nella sua accezione ottocentesca e marxista, è pur vero che non è stata sostituita da un modello di società e di battaglia ideale altrettanto competitiva. Dal canto suo il ceto medio, sotto la pressione della crisi finanziaria e della globalizzazione, sta scomparendo, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti e – quel che rimane – naviga sempre di più verso l’astensionismo politico. Al tempo stesso prospera nelle nuove potenze emergenti, in particolare in Brasile, Cina e India.

          Il problema vero è che, in Italia e nel mondo, la classe intellettuale ha rinunciato ad elaborare un modello coerente e coeso, in grado di mettere insieme società, economia e politica per un futuro condiviso. Peraltro emergono – in questa “società liquida” post-industriale – alcune realtà come magistratura, Chiesa cattolica e mondo militare che sono tenute insieme da un modello condiviso, forte senso di disciplina e progetto per il futuro. E un contributo importante può venire da una Pubblica Amministrazione di qualità, preparata e autonoma dalla politica, che venga selezionata non secondo opinabili criteri ad personam, ma che sia espressione di percorsi meritocratici garantiti da concorsi a livello nazionale.

          Carismi a parte, la società “liquida” dell’era della globalizzazione ha reso inesistenti certezze e prospettive, lasciando i cittadini senza chiavi di interpretazione per il futuro. I cambiamenti sono stati troppo rapidi per permettere una corretta interpretazione e l’esplosione dei diritti individuali ha frantumato la società. 

          Il risultato è spesso quello di una diffusa reazione viscerale, emotiva e oppositiva: contro la classe dirigente si reagisce a prescindere. E la classe dirigente, priva di un modello culturale e intellettuale cui ispirarsi, sembra in balia degli umori del momento. È necessario allora ristabilire poche e chiare regole condivise dalla maggioranza degli appartenenti alla comunità perché proprio laddove si rispettano le regole si crea appartenenza.

          Senza una cittadinanza responsabile si cade in un circolo vizioso che aumenta la paura e gli atteggiamenti di chiusura: perde la politica, perdono la società e il sistema educativo. Per evitare questo rischio è necessario dare corpo ad un grande progetto educativo, a cominciare dalla scuola e dall’università ridando autorevolezza e riconoscimento economico alla classe insegnante. Va ristabilito un circolo virtuoso tra cittadinanza responsabile e classe dirigente responsabile perché solo cittadini responsabili possono dare vita ad un ceto politico all’altezza delle sfide odierne e in grado di opporsi ad un facile pensiero populista e demagogo, di apparente resa immediata, anche elettorale, ma di miope e dannosa visione di lungo termine. 

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