Vai al contenuto
Attività

Creatività e digitale: opportunità e sfide per lo sviluppo culturale e turistico del Paese

    • Roma
    • 14 Dicembre 2016

          Il digitale non è più un’opzione, è una realtà consolidata che attraversa il mondo e che ha ridotto lo spazio tra presente e futuro e fa dialogare l’oggi col domani. Dunque, diventa basilare conoscere e saper gestire le tecnologie più nuove per poter prevedere e costruire il futuro. La “nuvola” in cui si vive al contempo come consumatori e produttori di dati digitali – l’oro nero del nuovo millennio – offre importanti opportunità economiche e sociali. Superato il falso problema di definire se il digitale sia buono o cattivo, l’incontro ha esaminato le positive applicazioni del rapporto tra cultura e digitale, declinate poi nel turismo.

          I lavori, articolati in due sessioni, hanno visto la prima occuparsi degli aspetti e delle implicazioni fra beni culturali e turismo. La riflessione è partita da uno studio del novembre 2013 della Oxford economics company sull’impatto dei contenuti online per il turismo europeo (“The impact of Online Content on European Turism”). Da questo studio emergono tre messaggi: primo, importanza della ricerca dei contenuti culturali on line; secondo, che tanto più alto è il censo del turista, tanto più aumenta la ricerca di tali contenuti in rete; terzo che cresce l’affinamento e il tasso di affidamento di tali contenuti. Vale a dire che la presenza di interessi culturali è determinante nella scelta delle mete turistiche, soprattutto per chi proviene dai paesi affluenti. Il punto però è che – a fronte di una media europea al 49% in Italia è al 26%. Inoltre, i turisti interessati all’Italia cercano per il 31% i contenuti culturali in rete, contro una media europea del 22%.

          Insomma, i contenuti culturali  in rete sono un driver fondamentale per il turismo, che però in Italia ha ancora scarsa presa. Sono inoltre una leva di crescita economica per il Paese. Per l’Italia – nazione ineguagliabile in termini di beni artistici posseduti – diventa dunque fondamentale riuscire ad aumentare la presenza in rete di tali contenuti culturali, al fine di generare una crescita del turismo pari ad un punto di PIL. Naturalmente, si tratta di attrarre un turismo ad alto valore aggiunto, attraverso un uso della tecnologia che affianchi, senza sovrastare, l’esperienza diretta.

          Il messaggio che deve scaturire è che l’opera d’arte – per essere apprezzata nella sua interezza – deve essere “vissuta” assieme al genius loci del sito dove si trova. In questo modo verrà tutelato il suddetto genius loci e coniugato con cultura e umanità.

          Un simile progetto, secondo alcuni, necessita di una guida unitaria e a livello nazionale, in grado di garantire continuità legislativa e scelte programmatiche quali, ad esempio, una politica di defiscalizzazione per chi investe nel settore del turismo.  

          C’è stato anche chi ha ricordato come cultura e turismo in realtà non siano sinergici, anzi talvolta in contrasto fra loro e che la parola che permette di conciliarli, che li perimetra è l’attrattività. E per questo concetto passano le persone, la ricerca, i finanziamenti, ma anche i sogni e i simboli. Dove i processi andranno governati e andrà equilibrato il rapporto pubblico-privato sia con che senza “trattino”. Il digitale è neutro, è l’utilizzo che ne facciamo il discrimine, in ciò l’Italia è la migliore palestra per la sua unicità e ricchezza.

          Vi sono poi alcuni aspetti che devono essere oggetto di decisioni politiche. Se da una parte il digitale – attraverso la shared economy e le piattaforme turistiche – ha ampliato l’offerta e reso possibile la scoperta di siti poco conosciuti, dall’altra ha posto la necessità di comporre in maniera proficua i contrasti tra gli operatori digitali e gli operatori tradizionali. L’altro aspetto – ricorrente quando si parla di digitale – è il fenomeno dei “big data” e del loro impiego. Anche nel turismo è possibile una profilazione degli utenti sulla base di siti visitati, alberghi e mezzi di trasporto utilizzati e capacità di spesa. La politica dovrà scegliere se confidare nella capacità di autoregolamentazione delle piattaforme o varare delle misure la cui applicazione non comporti il blocco dell’innovazione e la perdita o riduzione dei benefici delle nuove tecnologie.

          D’altro canto va tenuto il ruolo del digitale unito alla cultura e alla preservazione della medesima. Si pensi al Google Cultural Institute che in cinque anni e mezzo di lavoro ha raggiunto la cifra di 1270 partner da 17 di partenza in 70 paesi, offrendo la possibilità di dare uno sguardo e attrarre le persone a visitare dal vivo i luoghi e dando anche la possibilità a chi non può muoversi per vario motivo di farsi un’idea del sito archeologico e simili, del bene artistico e del museo in diversi luoghi del pianeta. Inoltre, offre la possibilità di fruire delle opere d’arte in modi differenti e complementari a quello reale e crea una copia che preserva l’opera dall’azione del tempo e dalla eventuale distruzione naturale o umana.

          È stato citato come esempio la conquista e abbattimento di alcune strutture di Palmira e della distruzione dei reperti ivi custoditi. Sebbene in un secondo tempo alcuni reperti siano stati rinvenuti in Svizzera (pronti per essere venduti e finanziare probabilmente i terroristi), lo scempio operato a Palmira ha generato la riprovazione mondiale, per certi versi superiore allo sdegno causato dalle vittime della stessa guerra. La spiegazione, secondo alcuni, è da cercarsi nell’identificazione dell’opera d’arte con il valore identitario: la distruzione fisica corrisponderebbe alla scomparsa di valori ben oltre il semplice manufatto. Così la digitalizzazione permette di riprodurre l’opera e i valori storici e culturali che essa rappresenta e mantiene vivo tanto il legame con il paese di provenienza quanto aiuta a conoscere il paese che ospita, offrendo così anche un’occasione di integrazione. Utile anche nelle opere di catalogazione, dove è stato suggerito di incrementare il lavoro in sinergia con i comuni, le parrocchie e le associazioni di volontari, collegati con gli organismi culturali nazionali.

          Insomma, digitale è adesso e bisogna dedicarsi allo studio del futuro, come avviene in Svezia col Ministero del Futuro o come avviene al mit o presso il museo del domani di Rio de Janeiro (aperto nel 2015), oppure al Museum of the Future che si aprirà a marzo 2017 ad Abu Dhabi. E l’Italia dov’è? L’Italia già è lì con la multidisciplinarietà del Rinascimento, con la capacità artigiana di quelli che oggi si chiamano makers e la capacità di creare dei prototipi; altrimenti la stampante 3D resterà lettera morta.

          Nel 2020, sei miliardi di persone saranno in rete, maggiormente grazie a devices portatili (smartphone e tablet). Solo su Youtube ogni minuto sono caricate 400 ore di video – parte di esse sono di utenti amatoriali – ma cresce rapidamente la quota di contenuti appartenenti a figure dell’industria multimediale. Aziende che vedono nella rete la possibilità di massimizzare i profitti dei loro prodotti e dare nuova vita a quelli meno conosciuti.

          Le cifre parlano chiaro: nei paesi del G20 l’economia digitale rappresenta oggi tra il 25 e il 30 % di crescita del loro PIL. È quindi un’importante opportunità per l’Europa – i creators europei attraggono il 25% del tempo di visualizzazione globale – e per l’Italia, che con il Made in Italy registra sui motori di ricerca una costante e significativa crescita di interesse. Opportunità che però per essere sfruttate appieno necessitano un’efficace lotta alla pirateria e una corretta tutela del copyright.

          Su tale fronte importanti risultati si sono ottenuti sia fornendo alternative legali a chi cerca contenuti digitali, sia attraverso la strategia follow the money. I siti che forniscono contenuti pirata agiscono ormai come delle aziende, il cui lucro deriva dai contenuti pubblicitari. Seguire tali introiti ha portato nel tempo alla chiusura di numerosi siti illegali. Per la tutela del copyright invece molto si è fatto attraverso ingenti investimenti in nuovi strumenti tecnologici: il solo ID digitale ha comportato investimenti per 60 milioni di dollari.

          Dal punto di vista legislativo, la recente direttiva europea in materia ha il non facile compito di individuare un punto di equilibrio tra tutela e sfruttamento del copyright con la crescita della creatività e dell’innovazione. In molti auspicano un confronto che veda coinvolti allo stesso tavolo i creators, i titolari dei diritti, le imprese e le istituzioni. L’obiettivo è affrontare – con un differente approccio – l’analisi dei compiti di prevenzione e controllo da parte dei vari attori e favorire la transizione verso l’editoria elettronica. Il rischio altrimenti è quello di dare vita a una iper regolamentazione e a sistemi di sussidio che favoriscono alcuni players, ma inibiscono l’innovazione e la creatività. Un sistema europeo armonico e capace di sfruttare le potenzialità del digitale potrà, inoltre, confrontarsi con maggiore efficacia con gli Stati Uniti e la Cina in tema di digital market.

          Per quel che riguarda i dati e loro tutela è anche chiaramente emersa la questione spinosa della profilazione degli utenti e la difficile alchimia fra i cosiddetti “creators”  – fra cui quelli che agiscono su You Tube, Netflix e altre piattaforme – i titolari dei diritti, le industrie e aziende varie e last but not least, le istituzioni. Infine, è stato sottolineato che una regolamentazione eccessiva darebbe luogo a blocchi digitali, che limitino l’innovazione e la crescita economica e quindi l’occupazione, con un danno anzitutto per i giovani creatori che appartengono alla “generazione C”. I “Connessi” ovvero i giovani che – a differenza dei loro genitori per i quali uno smartphone è solo un telefono – usano quella tavoletta di vetro, metallo e silicio come un portale bidirezionale sul mondo e ne sanno fare un uso al contempo di televisore da cui trarre contenuti e di studio televisivo con cui far conoscere al mondo – o solo ai loro seguaci (i followers) –  opinioni, sogni e preoccupazioni.

          Per alcuni va sottolineato come questa sia una fase di transizione dove – essendo connessi al 90% attraverso devices portatili – si diffondono contenuti pensati per essere fruiti con altri media. Il risultato è un’informazione frammentata e destrutturata, che genera tra i giovani un nuovo linguaggio e una cultura impoverita. Indubbiamente, la scuola potrebbe fare la sua parte, aiutando le generazioni a usare correttamente il mezzo digitale. Compito non facile se, anche la scuola, è in piena transizione alla fase 2.0.

          Eppure vi è ottimismo tra chi si è confrontato con reale apertura con i giovani che, all’inizio per gioco, si sono impadroniti poi degli strumenti digitali per farne un lavoro. Non nella vecchia concezione del termine, quanto piuttosto come una scatola che racchiuda allo stesso tempo gioco, esperienza, sfida, maturazione. Per esemplificare è stato citato un caso di studio di un giovane italiano di 21 anni, che annovera 100 mila seguaci nel canale You Tube da lui gestito. Questa figura del “creator” – detto anche Youtuber – coniuga studio e lavoro e compensa in sé varie professioni, in nessuna delle quali è realmente specializzato, attività che vanno dalla realizzazione alla distribuzione dei contenuti digitali.