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Attività

Venture capital e start-up: strumenti per l’innovazione e l’occupazione giovanile

    • Milano
    • 26 Settembre 2011

          L’Italia vive da tempo una situazione paradossale: tante idee, ma poca innovazione e poca occupazione qualificata per i giovani cervelli che di tali idee sono la fonte principale. Le risorse intellettuali presenti, abbondanti e a basso costo, si trovano imbrigliate da una combinazione di scarsa progettualità e scarsa capacità di comunicazione fra i diversi soggetti in grado di garantire che le buone idee diventino buone innovazioni.

          Gli ostacoli all’affermazione in Italia di virtuosi circoli di sviluppo innovativo, che consentano di sfruttare le sinergie fra finanziatori, ricerca ed imprese sono ben noti. L’Italia ha mostrato nel tempo, e soprattutto in anni più recenti, una scarsa apertura all’innovazione, che trova molti più ostacoli alla diffusione di quanti ne incontri in altri paesi sviluppati. La dimensione del mercato interno – elemento chiave per stimolare la nascita di iniziative imprenditoriali innovative – ne risulta fortemente limitata. A questo si aggiungono, da un lato, un forte limite alla capacità e alla propensione imprenditoriale, probabilmente indotto da un sistema educativo che non dedica attenzione adeguata alla formazione imprenditoriale e, dall’altro, l’orientamento culturale prevalente nelle università che porta a guardare in termini conflittuali, piuttosto che sinergici, alla relazione fra profit e non-profit. Infine, ad accentuare gli effetti di una già elevata avversione al rischio che ha radici profonde nel tessuto culturale italiano, contribuisce anche una disciplina fallimentare che stigmatizza il fallimento.

          Eppure non mancano segnali incoraggianti: sono in crescita nuove iniziative finanziate da venture capital, così come gli spin-off universitari e le iniziative intraprese da business angels. Si affermano business innovation centers ed esistono circa dodici fondi specializzati in venture capital. Si tratta, dunque, di partire dalle molte esperienze di successo esistenti e di garantire connessioni efficaci fra i diversi gangli della filiera del venture capital (incubatori, centri di trasferimento tecnologico, fondi regionali, fondi di venture capital), che pure sono ormai presenti in Italia. Non mancano, peraltro, iniziative locali interessanti avviate dalle camere di commercio, dalle associazioni industriali e da altri soggetti, sebbene siano di dimensione ancora particolarmente limitata. 

          In questo contesto, l’intervento pubblico può giocare un fondamentale ruolo di “connettore” dei diversi gangli della filiera. C’è bisogno di concretezza. Piuttosto che ambire a finanziare direttamente nuove start-up con fondi pubblici necessariamente limitati ed erogati mediante procedure burocraticamente onerose, occorre seguire alcune linee guida: abbassare le barriere all’imprenditorialità attraverso semplificazioni e riduzione dei costi della burocrazia; selezionare accuratamente le aree di investimento; creare nuovi strumenti di comunicazione fra imprenditori, investitori e decisori pubblici; facilitare la trasmissione delle informazioni sulle esperienze di successo al fine di diffondere “role model” positivi; promuovere la creazione di soggetti intermediari fra università e impresa e, infine, dare fiducia alle dinamiche di mercato, anche mediante la creazione di fondi di fondi o l’adozione di modelli, come quello francese, che prevedono la partecipazione di banche e assicurazioni.  

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