L’attuale situazione in Ucraina pone una questione di grande importanza per la pace e la sicurezza in Europa e, in senso ancora più ampio, per il principio della tutela dei confini internazionali. Da parte occidentale si registra una grande fermezza di Washington che non sembra disponibile a derogare al principio della open door in ambito NATO. In parallelo, il semestre di presidenza del Consiglio Europeo è stato inaugurato dalla Francia con la proposta di un nuovo ordine di stabilità e sicurezza per il Continente da condividere in ambito NATO e da negoziare con la Russia.
Dal lato di Mosca c’è sicuramente un sentimento di esclusione dagli equilibri continentali, che hanno portato, fin dagli anni Novanta, alla definizione di un sistema di sicurezza in Europa chiaramente post-Guerra fredda. Resta da determinare, invece, se e quanto la nuova pulsione imperialista del Paese sia determinata dalla necessità di trovare un fronte esterno per sopire le tensioni interne.
Verosimile sembra il desiderio di negoziare l’avvio dell’Ucraina verso una forma di neutralità, in modo da creare una zona cuscinetto fra i Paesi dell’Alleanza atlantica e la Russia. Il progressivo allontanamento di Kiev dall’attuazione degli Accordi di Minsk e il parallelo avvicinamento del Paese alla NATO hanno destato la preoccupazione di Mosca che, con le attuali pressioni militari, punterebbe a un gioco di sponda con i Paesi occidentali perché siano essi stessi a rallentare l’avvicinamento dell’Ucraina all’Alleanza atlantica. Questo sforzo sarebbe totalmente vanificato da un’invasione complessiva del Paese, anche se rimane sul campo l’opzione di un allargamento dei territori ucraini attualmente occupati dai russi.
Il timore americano di un sovvertimento degli equilibri che hanno garantito per decenni la pace nel Vecchio Continente ha orizzonti più ampi. Washington punta in realtà a relazioni stabili con Mosca, quale interlocutore in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su numerosi dossier cruciali: dalla situazione nel Mediterraneo e in Africa ai rapporti con la Cina; dagli equilibri nell’Artico alla necessità di una transizione energetica globale. La diplomazia deve anche tenere conto di quanto le pressioni sulla Russia – militari ed economiche – rischino di spingere ulteriormente Mosca nelle braccia di Pechino.
Secondo alcuni partecipanti, un allineamento russo-cinese è ormai evidente in molte parti del mondo, dal Medio Oriente all’Africa subsahariana all’America Latina. Un rischio che condiziona le attuali scelte occidentali in Ucraina e in Europa è proprio quello di spingere ulteriormente Mosca verso un più stretto rapporto strategico con Pechino, sebbene questa non sia una forma di cooperazione “naturale”, in termini storici e geopolitici. Intanto l’azione internazionale cinese conferma che l’Occidente è particolarmente vulnerabile a crisi simultanee sul fronte europeo orientale e sul grande fronte dal Pacifico – in cui la pressione su Taiwan è nuovamente cresciuta proprio in coincidenza con l’aggravarsi delle tensioni in Ucraina.
La UE può dare un contributo maggiore nel contesto del rapporto transatlantico e della NATO, pur tenendo conto delle sue specificità e dei suoi limiti: che la UE sia “atlantica” è un dato strategico di fondo e va rafforzato. L’ambizione di una “autonomia strategica” europea è complementare al perseguimento dei valori comuni alla comunità occidentale. La visione di Bruxelles rispetto al problema ucraino è dunque, secondo la maggioranza dei partecipanti, quella di un “double track” che preservi con fermezza i principi della sicurezza pan-europea, ma ricerchi al contempo soluzioni negoziali e pragmatiche con la Russia – un “dialogo selettivo”. In tale quadro, la coesione politica è parte integrante di una forte capacità di deterrenza, finalizzata alla stabilità e alla sicurezza condivisa.
In una prospettiva temporale più ampia il peso e l’efficacia negoziale della UE sarebbe certamente maggiore se si raggiungesse l’obiettivo della “unione dell’energia” che è stato spesso evocato, ma che resta tuttora largamente incompleto.
In chiave di interessi nazionali italiani, il punto di contatto più diretto rispetto alla Russia è la Libia, in cui gli equilibri di forze – con implicazioni regionali – sono stati nettamente alterati dalla presenza russa, oltre che da quella turca. Un secondo ordine di interessi è certamente quello energetico, con uno sbilanciamento verso il Nord Europa – di fatto Washington ha accettato Nord Stream 2 ma non South Stream – che continua a penalizzare l’Italia e la componente meridionale del continente.
Guardando alla vasta regione del Mediterraneo allargato, dalla Siria alla Libia a varie altre situazioni di crisi acuta o di instabilità protratta, l’approccio russo nel Mediterraneo e nella regione limitrofa privilegia la presenza, non il controllo politico o tantomeno territoriale. I casi di presenza più ampia, solitamente i canali multilaterali di risoluzione e contenimento dei conflitti locali sono già falliti quando aumenta il ruolo russo. Dalla prospettiva di Mosca, l’obiettivo primario è impedire eccessive destabilizzazioni con ramificazioni internazionali, soprattutto in chiave anti-jihadista. L’azione russa punta inoltre, quasi senza eccezioni, a mantenere o costruire rapporti con tutte le parti in causa, per allargare le proprie opzioni.
La UE ha certo grandi interessi nella regione ma al momento non ha articolato una vera strategia macro-regionale, né in termini di politiche di sviluppo né di capacità nel campo della sicurezza. È cresciuta la consapevolezza del ruolo che il Sahel svolge, ma non ancora la coesione e la disponibilità di risorse per un’azione comune incisiva.
Nel contesto della regione artica, la Russia si sta tuttora mantenendo un approccio pragmatico, alla ricerca di possibili forme di cooperazione, soprattutto rispetto alle questioni ambientali. Ci sono però notevoli motivi di preoccupazione su quanto questo canale di cooperazione e dialogo possa durare a fronte delle tensioni crescenti su altri fronti e di sanzioni anti-russe sia da parte di singoli Paesi sia da parte della UE.
Nel contesto complessivo della transizione sostenibile e delle politiche ambientali, nel già complicato rapporto USA-Europa-Russia si è ormai decisamente inserita anche la Cina, che è ad oggi un’anomalia tra le maggiori economie, vista la sua forte dipendenza dal carbone. Ma le sue scelte in termini di investimenti prospettano una transizione massiccia, sebbene non rapidissima. In ogni caso, le implicazioni geopolitiche e di sicurezza della transizione energetica e dei modelli di sviluppo saranno molto ampie, e avranno un peso notevole sul quadro della sicurezza europea e transatlantica.