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Anche nei big data il Brasile è mondiale. Intervista a Federico Grosso

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    • 11 Marzo 2014
    • Marzo 2014
    • 11 Marzo 2014

    Le nuove tecnologie – e l’immensa produzione di dati che queste rendono possibile – stanno cambiando la mappa del mondo. E in un processo globale in cui l’hi-tech è pervasivo, si affacciano sulla scena nuovi protagonisti: così il Brasile, da rampante economia emergente, sta diventando un “centro di gravità” del mondo tecnologico. Con ottime opportunità per quelle aziende – anche italiane – che sappiano approfittarne. Il sito di Aspen ne discute con Federico Grosso, esperto di innovazione tecnologica e Managing Director, America Latina, per HP Autonomy.

    Quali opportunità offrono i big data al Brasile e all’America Latina?
    Iniziamo a dire che con big data possiamo identificare tutti quei dati che crescono in forma così complessa da non poter più essere trattati con metodi tradizionali. Le tre dimensioni di questa complessità sono: la velocità, il volume e la varietà. Si tratta di un fenomeno che nasce dall’incontro di altri megratrend tecnologici: la digitalizzazione dell’informazione, internet, i media sociali e il fenomeno della mobilità. L’America Latina in questo scenario è ben posizionata e il suo mercato più grande, il Brasile, è il secondo Paese al mondo più rappresentato sui social media dopo gli Stati Uniti. Questo dimostra che i mutamenti del mondo dell’informazione possono davvero cambiare le mappe e che non ha più senso la divisione fra un “primo mondo” – composto da Europa e Stati Uniti – e i Paesi emergenti. Certo, sotto alcuni aspetti esistono ritardi, ma le nuove tecnologie abbattono le barriere molto velocemente.

    È ipotizzabile che l’elaborazione di una grande massa di dati possa essere utilizzata anche per controllare il dissenso in America Latina?
    La linea che separa gli utilizzi di queste tecnologie è molto sottile, ma credo che si stia raggiungendo un equilibrio fra utopia e distopia nell’uso dei big data. La diffusione dell’informazione ci sta portando verso la creazione di un contratto, non solo con le istituzioni, ma con la società in generale, in cui le regole sono diverse da quelle del passato: basta pensare a come sta cambiando il concetto di privacy nei social media rispetto ai media tradizionali.  Del resto, se guardiamo alle azioni messe in campo dai sistemi totalitari, vediamo che questi regimi tentano in genere di chiudere o di porre limiti ai nuovi media; ciò avviene perché l’aumento della capacità di controllo è a doppio senso e gli utenti stanno acquisendo un nuovo potere.

    Brasile e rivoluzione dell’informazione:un ruolo strategico?
    Con duecento milioni di persone, il Brasile rappresenta ormai uno dei centri di gravità del mondo, anche per quanto riguarda la tecnologia. Le stime parlano di un mercato dei big data che al 2018 potrebbe raggiungere un valore pari a un miliardo di dollari di ricavi. E questo perché qui c’è un’attenzione forte verso la tecnologia, anche nelle fasce di età più anziane e negli strati sociali più bassi. Si tratta di un entusiasmo che non ho visto finora in altri Paesi e che può avere ricadute importanti non solo sull’economia, ma anche sulla crescita del Brasile nel suo complesso. Il primo vantaggio dei big data è, infatti, l’efficienza: la possibilità di analizzare, controllare e gestire al meglio anche i sistemi complessi. E poi c’è il grande tema dell’educazione: la diffusione di queste tecnologie sta aiutando, qui in Brasile, progetti di formazione a distanza, con la possibilità di condividere dati e creare comunità di apprendimento mirate su singoli temi.

    In che modo questa vivacità tecnologica potrebbe contagiare il mercato italiano?
    Credo che la ricetta migliore sia prendere ispirazione dalle best practices internazionali, iniziando da quanto fatto negli Stati Uniti con Silicon Valley. La vivacità del settore tecnologico è data da una promozione mirata e da un sostegno particolare all’imprenditoria digitale: finché si considerano le start-up tecnologiche alla stregua di aziende più tradizionali è difficile creare quell’ecosistema che funge davvero da sostegno all’innovazione.  È essenziale a questo proposito creare poli tecnologici di eccellenza che facciano incontrare talenti e imprenditori. Sono convinto che, in estrema sintesi, l’Italia debba puntare con maggior forza a sostenere e far crescere le imprese tecnologiche. Anche così può mettere a frutto quei talenti e quelle eccellenze che, insieme alla cultura, rimangono il nostro maggior patrimonio.

    Quali opportunità esistono per le aziende – e per le eccellenze – italiane sul mercato brasiliano?
    Nonostante le barriere burocratiche all’ingresso, in Brasile ci sono molte opportunità per le aziende europee, e italiane in particolare. I grandi gruppi stranieri presenti su questo mercato sono aperti, infatti, a collaborazioni con aziende più piccole dotate di spiccata tendenza all’innovazione e credo ci siamo buone prospettive per le start-up, sia nel settore tecnologico, sia in quello dei beni di consumo, soprattutto nell’e-commerce. Certamente, poi, è vero che il Brasile guarda con interesse, ma anche con un po’ di riverenza, alle tante eccellenze italiane. Si tratta di un patrimonio che la tecnologia può aiutare a diffondere e far fruttare in un mercato, non dimentichiamolo, che sta conoscendo un boom di consumi non replicabile in Italia e in Europa. E con una classe media emergente e un’alta borghesia che vede crescere considerevolmente la spesa in beni di lusso, le opportunità per il made in Italy sono davvero molte.

    Federico Grosso, esperto nel settore dell’innovazione tecnologica, è Regional Managing Director LATAM di Autonomy, società del gruppo HP attiva nella computazione basata sul significato e intendimento di dati non strutturati. Membro della comunità dei Talenti italiani all’estero di Aspen, si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Torino e ha completato il corso per Leader Emergenti della London Business School.