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Attività

Sostenere e accelerare l’innovazione: risorse, strumenti, competenze

    • Venezia
    • 9 Maggio 2014

          L’innovazione, fattore chiave di crescita, benessere sociale e competitività, richiede, per esprimersi pienamente, che siano soddisfatte una serie di condizioni, materiali e immateriali. Solo in questo modo sarà possibile mettere a sistema le individualità creative, trasformare le intuizioni in risultati concreti, sostenere la progettualità e le idee imprenditoriali. Favorire l’innovazione è, soprattutto in questa fase, un imperativo per l’economia italiana che deve rigenerare il proprio tessuto industriale. Più che un singolo intervento mirato è necessario tuttavia azionare molteplici leve di cambiamento.

          Lo sviluppo di un ecosistema che favorisca e acceleri i processi innovativi richiede innanzitutto il coinvolgimento fattivo di medie e grandi imprese. La lezione che viene dai cluster geografici più innovativi del pianeta, e in primis dalla Silicon Valley, è che le imprese di maggiori dimensioni sono attori imprescindibili nella catena dell’innovazione perché, in primo luogo, come potenziali acquirenti di start-up, rappresentano la naturale “uscita” dall’investimento per imprenditori e venture capitalist. Le dimensioni aziendali sono poi correlate alla possibilità di effettuare importanti investimenti in ricerca e sviluppo, dai quali gemmano ulteriori idee e iniziative imprenditoriali che, attraverso processi di spin-off, danno vita a nuove imprese.

          Tipicamente le imprese innovative hanno un alto tasso di mortalità: solo alcune sopravvivono alla fase iniziale e diventano imprese profittevoli e, in qualche caso, di grandissimo successo.  Per questo, favorire la nascita del più ampio numero possibile di start-up è un ingrediente cruciale di qualunque piano nazionale di sviluppo dell’innovazione. Una fertile platea di nuove imprese innovative può essere creata solo consentendo l’accesso a fonti di finanziamento adeguate, di natura pubblica e privata. La gestione pubblica diretta del finanziamento dell’innovazione non ha tuttavia tendenzialmente dato una buona prova di sé nella maggior parte dei paesi in cui è stata tentata. L’esistenza, invece, di un mercato dei capitali efficiente è invece stabilmente associato al proliferare di nuove attività imprenditoriali. Infatti, il mercato azionario è sia un canale di disinvestimento per imprenditori e investitori, sia uno strumento di valorizzazione che consente di “prezzare” anche le imprese innovative non quotate facilitandone quindi le operazioni di acquisizione e di reperimento di capitali privati.

          Naturalmente, operatori essenziali dell’ecosistema dell’innovazione sono i venture capitalist, il cui numero e la cui dotazione finanziaria rimangono per l’Italia al di sotto non solo dei paesi anglosassoni, ma anche di altri paesi europei, come per esempio la Francia o la Spagna, a noi più assimilabili. La ridefinizione e semplificazione del quadro normativo e fiscale per gli investimenti in capitale di rischio potrebbe stimolare la nascita di nuovi operatori di venture capital e l’arrivo di investitori stranieri. Non va poi tralasciata la possibilità di forme di partnership pubblico-privato che, con strumenti come i “fondi di fondi”, consentano un coinvolgimento di finanziatori pubblici o di investitori istituzionali (quali fondi pensione e casse previdenziali) storicamente restii a entrare in questo segmento.

          Se la ricerca universitaria è l’architrave dell’innovazione, l’Italia dovrebbe superare sterili diatribe sulla scelta di allocazione dei finanziamenti alla ricerca “applicata” piuttosto che a quella “di base” e, più semplicemente, introdurre meccanismi che consentano di concentrare le risorse a disposizione sulla ricerca di buon livello. Nel mondo accademico italiano si rileva un atteggiamento culturale e la presenza di un sistema di incentivi che sfavoriscono i ricercatori che lanciano o si associano ad attività imprenditoriali: la conseguenza è che molti brevetti e idee di qualità che l’Italia continua a produrre non si trasformano in nuove imprese, perdendo rilevanti occasioni di sviluppo per la nostra economia. Se la ricerca italiana è caratterizzata da centri di eccellenza, il tessuto produttivo è contraddistinto da aziende di dimensioni medio-piccole, che spesso non dispongono delle risorse necessarie per sostenere le attività di innovazione. In questo contesto, meccanismi di open innovation per “fare rete” su ricerca e sviluppo dovrebbero rappresentare un valore e uno strumento importante per il nostro tessuto imprenditoriale. Al contrario, sembra prevalere una cultura orientata a non condividere e comunicare le proprie idee e progetti innovativi, perdendo così la possibilità di trovare soluzioni condivise e più ambiziose di cui potrebbero beneficiare tutti gli attori coinvolti.

          Il successo dei processi di innovazione dipende fortemente, e sempre più, dalla qualità e dal livello di creatività delle risorse umane. Questo livello è molto alto in Italia, ma manca una diffusa cultura del rischio e del “fare impresa”, anche sulla scorta di un sistema legale che fa del fallimento imprenditoriale uno stigma da cui è difficile liberarsi. Più in generale c’è un approccio culturale e una filosofia educativa che, a differenza di quelli prevalenti nei paesi anglosassoni, è focalizzato sulla penalizzazione della mancata acquisizione di conoscenze teoriche più che sul premiare lo sviluppo di soft skill personali e relazionali che sono ingredienti cruciali per la vita d’impresa. Incoraggiare l’innovazione e l’imprenditorialità a tutti i livelli del ciclo educativo, integrando i piani di studio per fornire non solo la basi scientifiche ma anche capacità di leadership e management, è dunque un passaggio essenziale per riportare l’Italia su un sentiero di stabile crescita economica e sociale.