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Attività

Oltre il “presentismo”: un futuro giovane

    incontro e dibattito con Enrico Letta
    • Roma
    • 7 Giugno 2010

          L’incontro è stato introdotto dalla riflessione sul presentismo, ovvero la disattenzione collettiva di un Paese troppo concentrato sull’immediato e che perde la propria visione strategica. Il presentismo è il prodotto del “tempo reale” cui ci ha portato il progresso tecnologico. A fronte dei benefici in termini di qualità dell’informazione e della moltiplicazione di opportunità, il presente si è dilatato e ha colonizzato il nostro passato e il nostro futuro. Così, in ambito economico e finanziario, la crisi mondiale si è generata per una visione eccessivamente di breve periodo. Nella politica, il vivere il “tempo reale” significa che si è accelerato il ritmo caratteristico della democrazia, che dovrebbe essere scandito da elezioni di carattere pluriennale, con intervalli adeguatamente lunghi e prestabiliti per assicurare la possibilità di governare. Oggi, invece, l’Italia vive una verifica politica permanente indotta dai sondaggi e dall’evidenza che una qualsiasi elezione locale ha un immediato effetto a livello nazionale.

          L’attuale crisi, inoltre, aggrava la trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze: il 29,5% di quelli che ISTAT considera giovani sono oggi in cerca di occupazione. Le politiche  bipartisan che sono state adottate hanno privilegiato ammortizzatori sociali a favore dei cinquantenni per ridurre le conseguenze sociali della crisi. Rimane invece limitata l’attenzione ai giovani che rimangono degli outsider. Occorre sottolineare che, tuttavia, la crisi finanziaria si sta dimostrando anche uno stimolo rilevante per accelerare quelle riforme strutturali che il Paese richiede in uno scenario mondiale sempre più competitivo. 

          Altro aspetto approfondito nell’incontro è l’invecchiamento dell’Italia, che ci accomuna fra i paesi avanzati solo al Giappone. Certamente questo è un importante traguardo raggiunto in termini di aspettativa e qualità della vita. Si vive più a lungo, ma con una frattura demografica dovuta alla denatalità, con la conseguenza che in venti anni abbiamo perso l’equivalente di una generazione di italiani. Nei paesi angolosassoni la modernità è stata accompagnata da un ambiente pubblico che favorisce la nascita e l’istruzione dei figli. L’Italia non ha creato questo presupposto, mentre al contempo è tramontato il modello della famiglia patriarcale e viene scaricato sulle donne, impegnate professionalmente, l’onere domestico e della crescita dei figli. Fra gli effetti dell’allungamento della vita occorre sottolineare l’invecchiamento della classe dirigente. La domanda è come immettere in modo coattivo alcuni strumenti che promuovano l’affermazione e lo sviluppo dei giovani? Come ridurre il tasso di cooptazione nella politica e nelle professioni, aumentando la competizione e il riconoscimento del merito? Come creare le condizioni perché i giovani lascino anticipatamente la famiglia di origine e accelerino il loro percorso di carriera e di costruzione di una propria famiglia?  

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