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Attività

Arab Evolutions. The Mediterranean after the global slowdown

    • Siracusa
    • 6 Giugno 2014

          L’evoluzione – difficile e differenziata – della regione mediterranea va inserita nel contesto globale: la ripresa (seppure lenta e diseguale) delle economie occidentali; la fase di apparente assestamento della maggiori economie emergenti; la pressione sui sistemi tradizionali di welfare; i grandi negoziati commerciali in corso; le questioni di sostenibilità ambientale; i massicci flussi migratori (che in parte attraversano il Mediterraneo); e, sullo sfondo, i continui mutamenti tecnologici che influenzano le società e i modi di vita.

          Europa e Stati Uniti hanno incontrato molte difficoltà nel formulare politiche coerenti rispetto ai cambiamenti in corso, e una generale consapevolezza dei limiti dei grandi progetti regionali del passato si è aggiunta ai vincoli imposti dalla crisi economica. Le specificità di ciascun paese arabo consigliano poi, più ancora che in passato, un approccio selettivo non soltanto al business locale, ma anche alla cooperazione in senso più ampio.

          Un preoccupante dato oggettivo è la crescita dell’Islam politico nell’intera regione, sebbene con caratteristiche nazionali e differenze significative. Al tempo stesso, i gruppi più radicali sono frammentati e mobili, ponendo dunque una minaccia che si concentra oggi soprattutto in Siria e Iraq, ma che interessa tutti i paesi della regione e può raggiungere anche i paesi europei. Tali movimenti stanno creando pericolosi fenomeni di instabilità diffusa nelle fasi più delicate delle transizioni politiche e in alcuni casi democratiche.

          Quanto alle manifestazioni più moderate dell’Islam politico, gli attori esterni (pur non rinunciando a chiedere il rispetto di alcuni principi fondamentali) dovrebbero puntare sempre a favorire processi inclusivi nei riassetti politici dei paesi sulla sponda sud.

          Questi rischi si aggiungono ai gravi problemi preesistenti che hanno stimolato le proteste e rivolte del 2011, e che restano per lo più irrisolti: alta disoccupazione (in particolare giovanile), carenza di meccanismi di mercato efficienti e una crescita economica non sufficientemente dinamica, corruzione diffusa e autorità statuali che i cittadini percepiscono come distanti e inaffidabili.

          Il problema principale è proprio che i due livelli di debolezza delle società arabe possono avvitarsi in una sorta di circolo vizioso: l’instabilità politica ostacola i progressi economici e l’inefficienza del sistema economico accresce le tensioni sociali e aggrava la sfiducia dei cittadini e le autorità statuali.

          Un effetto macroscopico è stato il peggioramento delle finanze pubbliche, a seguito dei tentativi di favorire la creazione di posti di lavoro; ma troppo poco è stato fatto per stimolare gli investimenti privati, soprattutto nel settore delle piccole e medie imprese.

          Su tutti questi temi, l’Egitto merita particolare attenzione, in virtù delle sue dimensioni e della sequenza di cambiamenti al vertice che ha vissuto dal 2011. Il quadro è molto incerto, anche se alcuni punti fermi raccolgono un ampio consenso: la forte priorità condivisa dalla maggioranza degli egiziani di garantire l’unità dello Stato (rappresentata anzitutto, anche per ragioni storiche, dalle forze armate) di fronte al pericolo del caos, ma anche l’esigenza di affrontare subito alcune questioni economiche e di distribuzione efficiente delle risorse nel contesto di una serie di riforme dell’apparato statuale. È una combinazione che pone una sfida durissima per le autorità e la società stessa.

          Guardando alla regione nel suo complesso, resta sempre importante incoraggiare gli scambi professionali e studenteschi come meccanismo di apertura del mercato del lavoro e maggiore circolazione delle idee. Tuttavia, al contrario di quanto talvolta si sostiene, la priorità non sembra essere il trasferimento di conoscenze e tecnologie in quanto tale: è piuttosto la connessione delle società arabe con i flussi economici più innovativi e dinamici. In tal senso, si deve puntare non soltanto alla classica delocalizzazione, ma a forme più avanzate e flessibili di interdipendenza.

          In ogni caso, le condizioni economiche cambieranno per il meglio se gli investimenti risponderanno alla domanda, invece che seguire direttive imposte dall’alto (che si tratti di organizzazioni internazionali o governi). Solo così si potranno sfruttare realmente le opportunità esistenti evitando ulteriori distorsioni dei mercati. Altrettanto importanti saranno gli standard e le certificazioni comuni, che possono favorire gli scambi e l’incontro di domanda e offerta.

          Nel settore-chiave dell’energia, sono in atto profonde trasformazioni: i paesi europei puntano a diversificare le loro fonti di approvvigionamento (sia geograficamente che per tipo di fonti), mentre i paesi della sponda sud si concentrano sullo sviluppo (con strategie ovviamente diverse per gli importatori ed esportatori netti di energia) mentre tentano di ridurre il peso dei sussidi energetici.

          I media sono una componente essenziale delle società aperte, e i flussi di comunicazione sono sempre più indispensabili per la competitività. Ad oggi la maggioranza dei paesi arabi soffre ancora di insufficiente trasparenza e libertà dei media, sebbene alcuni sviluppi regionali abbiano intaccato il monopolio governativo dell’informazione.

          I trend recenti vedono un ritorno verso i media locali, dopo la fase di grande affermazione dei network pan-arabi. I social media sono un’ulteriore elemento dinamico, che è stato talvolta sopravvalutato nella sua valenza politica ma che certamente contribuiscono ad ampliare le opzioni per i cittadini che vogliano informarsi e verificare le fonti. Gli utenti stanno diventando assai più sofisticati che in passato, con effetti positivi, anche se graduali, sul dibattito pubblico sia in campo politico e sociale che economico.

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