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Donne e impresa: carriere, ruolo e certificazione

  • Roma
  • 8 Novembre 2023

        L’Italia rimane il fanalino di coda in Europa per l’occupazione femminile, risultando centodecima, su 146 Paesi monitorati dal World Economic Forum. Eppure, in un contesto dettato dalla denatalità e dalla progressiva contrazione della forza lavoro, le donne devono rappresentare una leva fondamentale per lo sviluppo del Paese. Anche per questo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha previsto, fra i propri obiettivi, un sistema Certificazione della Parità di genere, volto ad accompagnare ed incentivare le imprese nell’adottare policy adeguate a ridurre i divari in tutte le aree maggiormente critiche per la crescita professionale femminile. 

        Assicurare maggior partecipazione al mercato del lavoro e ridurre il gender pay gap rimangono quindi obiettivi essenziali, non solo per rispondere alle richieste europee, ma anche per stimolare la competitività delle aziende e dell’economia del suo complesso. Diverse ricerche, del resto, dimostrano che un bilanciamento fra i generi nel mondo produttivo è capace di aumentare la competitività e i rendimenti delle società. 

        L’Italia può far leva sulle buone pratiche di alcuni settori – come quello farmaceutico – dove il contributo femminile è più elevato, anche a livelli apicali. In questo comparto è nato un modello culturale di relazioni industriali e welfare aziendale capace di intervenire efficacemente sulla conciliazione fra i tempi di lavoro e la vita privata, uno degli aspetti più critici per garantire l’occupazione femminile. I dati Istat, infatti, indicano che i motivi familiari spingono ben 2,7 milioni di donne a non entrare sul mercato del lavoro. Fra le principali ragioni vi è proprio la difficoltà a conciliare la carriera con la genitorialità, ben dimostrata dalla rilevanza delle dimissioni femminili a seguito della nascita del primo figlio. Si tratta di un altro terreno su cui servono interventi urgenti e su cui l’Italia è agli ultimi posti in Europa, con un tasso di natalità che continua a scendere. 

        È necessario sostenere la genitorialità e valorizzare il lavoro di cura anche attraverso il riconoscimento di soft skills che l’accudimento dei figli permette di sviluppare. Si tratterebbe di un primo importante passo per affrontare il declino demografico italiano, riducendo la denatalità e assicurando, al contempo, la partecipazione di un numero maggiore di donne al mercato del lavoro. 

        In questo ambito strumenti come la Certificazione della Parità di genere possono rappresentare un segnale di cambiamento, come dimostra la risposta positiva delle imprese che ha già avvicinato l’Italia al target previsto di 800 realtà certificate. La platea è trasversale e coinvolge accanto alle grandi imprese – il 25% delle società certificate ha più di 250 dipendenti – ci sono anche le PMI:  il 34% è fra 10 e 50 dipendenti, il 31% fra 50 e 250 e il 10%, le micro, sono sotto i 10 dipendenti.  La certificazione diventa una buona pratica e uno strumento particolarmente efficace per innescare un cambiamento culturale: il processo porta a un’assunzione di responsabilità e un aumento della consapevolezza all’interno delle organizzazioni, dando vita a dinamiche che durano nel tempo. 

        Tali tematiche rientrano, inoltre, nel capitolo più grande della sostenibilità, secondo le sue declinazioni ambientali, sociali e di governance. Si tratta di un paradigma chiave non solo perché richiesto da stakeholder e investitori, ma anche perché permette di adeguare le aziende ai grandi mutamenti presenti e futuri, iniziando dalla transizione ecologica e digitale. Del resto, superare i divari di genere significa liberare quel potenziale – in termini di attrazione di talento e di diversità nella cultura aziendale – che risulta determinante in un periodo storico contraddistinto da diverse e persistenti crisi.