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Attività

Media, business and societies: a platform for change

    • Roma
    • 15 Aprile 2012

          Il secondo seminario dell’Aspen Mediterranean Initiative è stato l’occasione per ampliare il network di leader emergenti della regione, analizzando il rapporto tra media tradizionali, nuovi media, società e politica. Giornalisti, ma anche attivisti, blogger e artisti, hanno condiviso le proprie esperienze su come la comunicazione possa influenzare direttamente gli eventi politici. È stato evidenziato il ruolo della cultura giovanile – in particolare attraverso i social network – nell’accelerare il cambiamento sociale, ma si sono anche riconosciuti i limiti della mobilitazione civica per via digitale. Le manifestazioni di piazza sono risultate finora cruciali nello spingere le autorità verso cambiamenti anche radicali (come in Tunisia ed Egitto), ma le rivolte popolari pacifiche non sono state sempre sufficienti (come in Libia e Siria), e comunque il processo di costruzione di uno stato di diritto richiede una complessa e prolungata evoluzione culturale e istituzionale. Altrettanto importante è il fattore economico – soprattutto alla luce del rapporto tra i trend demografici, le prospettive di impiego legate alla crescita economica, e la struttura socio-istituzionale (con particolare riferimento al problema della corruzione ma anche della stessa rappresentanza politica).

          I nuovi strumenti tecnologici hanno ampliato notevolmente i canali di accesso alle informazioni e le opportunità di interazione diretta tra individui e gruppi, scavalcando i confini nazionali. Lungo la Sponda Sud del Mediterraneo, i nuovi media hanno consentito di aggirare lo stretto controllo esercitato dai regimi autoritari (o semi-autoritari) sui mezzi di comunicazione tradizionali, oltre a favorire una comunanza di linguaggi e simboli tra cittadini decisi a mobilitarsi, che sarebbe altrimenti stata impossibile.

          Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo di iniziative civiche e può ora favorire la crescita di movimenti politici e attori sociali più consolidati. Tuttavia, il rapporto tra cittadini, mezzi di comunicazione e autorità è per sua natura dinamico e talvolta conflittuale: si pensi al ruolo dei media come contraltare del potere politico e coscienza critica della società. Dunque, sia i media che il dibattito politico nell’ambito delle istituzioni (soprattutto parlamentari) devono poter incorporare un certo grado di conflittualità e dissenso, piuttosto che ignorarlo o nasconderlo.

          Tale considerazione si applica anche alla questione delicata del rapporto tra tradizioni o precetti religiosi e vita politica, come tra sfera privata e sfera pubblica. I paesi di tradizione islamica non sono certo unici a tale riguardo, ma si trovano oggi ad affrontare la questione in condizioni di cambiamento sociale accelerato (in effetti, a ritmi che non hanno precedenti nella storia) e sulla scia della forte conflittualità ideologica a livello internazionale generatasi con l’11 settembre 2001. È dunque cruciale inquadrare correttamente la discussione sull’Islam politico: un fenomeno variegato che presenta esiti e scenari aperti, subendo l’influenza sia di fattori locali sia del contesto globale.

          Partiti e forze politiche ora al potere, o comunque inseriti nelle istituzioni, saranno soggetti alle pressioni di una cittadinanza ormai più attiva che in passato, e disposta a sfidare l’autorità. Il dibattito interno dovrà quindi spostarsi, gradualmente, da tematiche “identitarie” (per quanto fondamentali in una fase di transizione incompleta) a questioni assai concrete come la distribuzione della ricchezza e i meccanismi di protezione sociale, il sistema dell’istruzione, l’efficienza della pubblica amministrazione, la gestione dell’ordine pubblico, l’efficacia del potere giudiziario. È in questa prospettiva che saranno valutate, soprattutto dopo l’attuale ciclo costituente ed elettorale, le esperienze al governo (e all’opposizione) dei vari movimenti emersi dalle rivolte.

          In tale contesto, sarà essenziale in futuro il diffondersi di una forte capacità critica da parte di cittadini ed elettori, oltre che il loro accesso alle informazioni e la capacità di scambiare idee per interagire in tempo reale attraverso strumenti come i social network. La maturazione di una moderna democrazia partecipativa richiede infatti tutti questi fattori. D’altro canto, non esistono modelli precostituiti che si possano pienamente applicare a paesi in transizione, anche perché l’Europa (come il resto del mondo occidentale ed economicamente più avanzato) sta attraversando una fase di parziale ripensamento della partecipazione politica e del rapporto tra stati e mercati: dunque, i cambiamenti in atto nella regione mediterranea vanno collocati in un contesto realmente globale ma non uniforme in cui si intrecciano tecnologie, valori e tradizioni, interessi economici, strutture politiche. Gli eventi degli ultimi mesi contraddicono le tesi di una presunta unicità del mondo arabo-islamico rispetto alle aspirazioni democratiche e all’attivismo civico; la vera sfida sta ora nello sfruttare le opportunità offerte dall’interdipendenza tra tendenze locali e globali – tanto per il mondo arabo quanto per l’Europa.

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