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Attività

I giovani e il futuro dell’Italia. Quali risposte deve saper dare una nuova generazione di leader

    Incontro con Domenico Siniscalco
    • Milano
    • 28 Maggio 2013

          L’attuale crisi è un acceleratore del cambiamento e, come l’ideogramma cinese, può essere letta sia come problema che come opportunità. I giovani rappresentano entrambe queste condizioni e sono, pertanto, al centro dell’attenzione. Con un’eredità di speranze ridotte o tradite, le generazioni più giovani appaiono rinunciatarie. Per essere “generazione” occorre, invece, uscire dall’individualità e sentirsi protagonisti del cambiamento, saper assumere la leadership. Sembra invece avvenga il contrario: la reazione è quella di salvarsi individualmente. Mentre l’Italia vorrebbe diventare un “Paese per giovani”, occorre evitare il rischio del giovanilismo, per un confronto fra idee e non fra carte di identità.

          L’analisi richiede un “ottimismo critico” per analizzare le opportunità e trovare le risposte che una nuova generazione di leader ha la responsabilità di dover trovare e diffondere, in Italia e nel Mondo. Ricostruire la fiducia è fondamentale, superando una comunicazione spesso conformista. I nuovi leader si trovano ad affrontare una situazione radicalmente diversa rispetto ai loro predecessori. La popolazione mondiale ha raggiunto i 7 miliardi di persone; le decisioni globali si prendono a livello di G2 o di G20 in una crescente complessità e multipolarità; le previsioni di medio-lungo termine sono improbabili; il livello di education non garantisce un adeguata qualità di vita, che dipende sempre più anche da elementi non economici (come l’ambiente). L’Asia produce troppo in relazione a quanto consuma; gli Stati Uniti consumano troppo e risparmiano troppo poco; l’Europa investe troppo poco e presenta dei problemi di governance.

          I nuovi leader debbono anzitutto comprendere la scala mondiale dei problemi, uscire dal provincialismo: avere cuore italiano, ma un mindset internazionale. Occorre saper guidare questa trasformazione in chiave innovativa, ma senza perdere il valore che è già diffuso nel nostro Paese. Occorre superare le debolezze di una politica arcaica, di una governance inefficace, di un debito pubblico insostenibile. Si deve saper partire dall’esistente, ricombinare i fattori di forza italiani: risparmio privato, imprenditorialità, capacità di lavorare sull’innovazione incrementale, saper valorizzare le esperienze degli altri paesi. Occorrono competenze sempre più interdisciplinari e non lineari. Una visione del futuro deve saper collegare gli spazi vuoti, le opportunità inespresse (connecting the dots), saper navigare fra risorse e  punti di forza già presenti nel nostro Paese, portandoli a sistema.

          Il nuovo leader deve essere capace di navigare il cambiamento, non da solo ma in squadra; è auspicabile infatti che la nuova leadership sia collettiva, reticolare, e in grado di raccogliere risposte diverse da persone con un background culturale diverso, necessario per risolvere problemi complessi. Per tale motivo, la varietà – il non conformismo – dei percorsi formativi dei nuovi leader è da incentivare. Ovviamente “non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose” (Einstein), occorre incidere su comportamenti e su attitudini consolidate, senza lasciarsi dire che “si è bravi, ma troppo giovani”.

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