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Attività

The future of America. Trump’s legacy and policy challenges

    • Incontro in modalità digitale
    • 22 Ottobre 2020

          I sondaggi, quasi senza eccezione, indicano che la situazione è strutturalmente diversa dal 2016 – a prescindere dalle dichiarazioni fatte dalle due campagne elettorali, proprio in relazione all’affidabilità delle previsioni, per mobilitare i propri sostenitori.

          La grande maggioranza dei sondaggisti attribuiscono una probabilità di vittoria per Trump nel Collegio elettorale – il dato che come sempre determinerà la Presidenza, a prescindere dal conteggio nazionale – che non va oltre il 20%. E’ realistico uno scenario di vittoria per Biden con un margine ridotto, ma al momento appare più probabile un’affermazione piuttosto netta.


          Trump vs Biden, between the popular and the electoral vote
          22/10/2020
          Charles Cook
          Publisher and Editor, The Cook Political Report

          Va ricordato anche che nel 2016 i sondaggi a livello nazionale sono stati in realtà piuttosto corretti, sebbene abbiano mancato il bersaglio in alcuni Stati-chiave che sono poi risultati decisivi – appunto per il meccanismo del Collegio elettorale. In questo 2020 ci sono inoltre relativamente pochi elettori indecisi, ed è dunque presumibile che le previsioni siano più solide. Donald Trump è anche rimasto sistematicamente al di sotto della media di gradimento complessivo per il suo intero mandato, e questa è una situazione anomala per un Presidente che cerca la rielezione. Storicamente è poi molto difficile invertire le linee di tendenza negli ultimissimi giorni, a meno di un qualche evento imprevisto – sia in occasione dei dibattiti presidenziali sia in termini più generali.

          Quanto al massiccio voto anticipato che stiamo osservando, potrebbe avere un impatto: in generale si suppone correttamente che tenda a beneficiare i Democratici, ma è vero anche che potrebbe attivare alcuni elettori di Donald Trump nelle attuali circostanze; in ogni caso, naturalmente la pandemia distorce in certa misura questo fattore, incentivando molti cittadini a votare nei giorni precedenti al 3 novembre. Più ampiamente, la crisi del Covid sta comunque danneggiando il Presidente, soprattutto nei confronti degli americani over-65 – un settore di elettorato cruciale per l’esito del voto. La principale vulnerabilità di Joe Biden riguarda invece la sua limitata capacità di accendere l’entusiasmo dei naturali sostenitori dei Democratici, particolarmente sul versante sinistro del Partito (quello occupato politicamente da Bernie Sanders e dalle nuove leve come Alexandria Ocasio-Cortez).

          In maggiore dettaglio, Biden si è praticamente garantito la conquista dei 20 Stati che Hillary Clinton conquistò nel 2016, e in più si trova in vantaggio negli Stati che causarono in sostanza la vittoria di Trump. I Democratici dunque non hanno bisogno di andare oltre questo quadro per conquistare la Casa Bianca.

          Guardando specificamente ai swing states, alcuni osservatori ritengono che la Pennsylvania potrebbe essere il singolo Stato con il maggiore impatto complessivo – con milioni di elettori che votarono per Obama nel 2008 e invece per Trump nel 2016, probabilmente alla ricerca di elementi di novità in entrambi i casi.

          Un aspetto peculiare di questa tornata elettorale è la minaccia – neppure troppo velata – da parte del Presidente di contestare i risultati del voto, che inevitabilmente proietta un’ombra sull’intero sistema politico americano.

          Quanto al Congresso, la Camera è destinata a restare in mani democratiche, e c’è una realistica possibilità di conquista di una maggioranza democratica anche al Senato, sebbene di stretta misura – il che avrebbe un effetto fondamentale sugli equilibri politici a partire dal gennaio 2021.

          Sul versante economico, la mancata adozione di un nuovo pacchetto di stimolo da parte dell’attuale Congresso non sembra modificare radicalmente le prospettive economiche del Paese. I dati degli scorsi mesi suggeriscono peraltro che la percezione del pubblico di come la situazione sanitaria evolve è più decisiva dei lockdown in quanto tali – sia in termini di produttività che di consumi. Le politiche monetarie si sono intanto spinte al limite delle loro capacità. Il quesito fondamentale per la ripresa è comunque quali e quante attività economiche saranno permanentemente danneggiate dalla crisi, al di là dello shock complessivo del 2020 e dei costi di breve termine. L’economia americana ha tuttora il potenziale per un forte rilancio nei prossimi mesi, ma secondo alcuni osservatori le scelte di un’amministrazione Biden in campo fiscale (anche evitando gli scenari più radicali auspicati dal versante sinistro del Partito Democratico) potrebbero ridurre nettamente la crescita effettiva. Il settore digitale ad esempio sarà quasi certamente sottoposto a regole ben più stringenti di quelle attuali, con implicazioni sia per l’economia reale che per Wall Street.

          In vista della politica economica per il 2021 e negli anni successivi, i maggiori interventi (fiscali e di bilancio) richiederanno comunque il sostegno del Senato, e dunque una maggioranza parlamentare per il prossimo presidente – senza la quale le possibilità di intervento si riducono notevolmente.


          Restarting a USA-China Dialogue
          22/10/2020
          Charlie Kupchan
          Senior Fellow, Council on Foreign Relations

          Sul piano della politica estera, la presenza internazionale degli Stati Uniti continuerà ad essere direttamente influenzata da priorità interne, che in buona parte rifletteranno le inclinazioni dell’opinione pubblica oltre che dell’establishment.

          Sul piano globale stiamo entrando in una fase caratterizzata da un mix di bipolarismo USA-Cina e multipolarismo dinamico (cioè piuttosto instabile, con varie “medie potenze” alla ricerca di un ruolo più attivo in vari contesti regionali). I tratti fondamentali del delicato rapporto sino-americano non cambieranno rapidamente, ma è probabile che un’amministrazione Biden si impegnerebbe nel coltivare rapporti di alleanza (a cominciare dall’Europa) finalizzati proprio a meglio gestire la questione cinese, in modo più ordinato e disciplinato di quanto è accaduto con Donald Trump – inclusa la possibilità di una forma di dialogo con Pechino almeno su alcuni dossier specifici. Non è probabile una frammentazione globale paragonabile a quella della guerra fredda nella seconda metà del XX secolo (cioè un totale “decoupling”), ma potremmo osservare una maggiore pressione americana su questioni politiche legate ai diritti umani e dunque un’enfasi anche ideologica che renderebbero arduo un dialogo ad ampio spettro con la leadership cinese. In tal senso, è per ora stata abbandonata, anche nel circuito dei consiglieri di Biden, l’idea che la Cina potesse trasformarsi un “responsible stakeholder” in un sistema internazionale fortemente integrato. La sfida di fondo sarà ora come perseguire una forma di contenimento attivo delle ambizioni cinesi in un contesto più multilaterale e non esclusivamente conflittuale, che vada oltre l’uso estensivo dello strumento delle sanzioni economiche o degli attacchi verbali.

          In un quadro di questo tipo, l’Europa dovrà comunque affrontare scelte difficili se vorrà mantenere rapporti costruttivi con la Cina e l’alleanza transatlantica. E’ stato sottolineato che sarebbe assai utile raggiungere un’intesa con Washington che eviti una crisi transatlantica ogni volta che un governo europeo dovesse lavorare a un accordo commerciale con importanti aziende cinesi, anche in alcuni settori ad alta tecnologia: un fattore centrale in questo ambito sarà l’adozione di standard comuni tra i Paesi occidentali che orientino, nel tempo, anche le scelte di mercato.