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Attività

Demographics and migration in Europe: multiple challenges for complex societies

    • Venezia
    • 22 Maggio 2015

          Gli squilibri globali – sul piano economico e della sicurezza – registrati dai trend demografici sono massicci, e vanno considerati come un dato di fatto in cui inserire le opzioni di policy realisticamente disponibili: in ogni caso avremo flussi di migranti verso l’Europa (come anche verso il Nordamerica e altre regioni ricche del pianeta), che saranno ancora più intensi in presenza di conflitti acuti particolarmente gravi. A fronte di questa realtà, c’è un ampio consenso sul fatto che l’immigrazione non rappresenti di per sé la soluzione alle esigenze del mercato del lavoro in Europa – con le sue carenze di giovani lavoratori in rapporto ai pensionati e il peso complessivo dei sistemi di welfare.

          È altrettanto vero però che le politiche europee per la gestione dei flussi, e per l’integrazione dei nuovi arrivati, sono risultate al più reattive (comunque con ritardi significativi), dotate di risorse insufficienti, e incoerenti (sia a livello di coordinamento europeo sia perfino in chiave nazionale, tra agenzie diverse). Ciò ha aggravato i problemi già molto complessi relativi ai migranti provenienti da paesi poveri, con scarso livello di istruzione e competenze professionali, soprattutto in coincidenza con la crisi occupazionale che ha colpito il continente.

          Su questo sfondo, infatti, stanno intanto cambiando il mondo del lavoro (a cominciare dal rapporto tra lavoratori, tecnologie, ed esigenze dei consumatori), i modelli di business e il livello di competizione internazionale di cui risente qualunque sistema-paese.

          Sul piano politico si deve registrare un aumento dell’intolleranza, che spesso condiziona l’intero dibattito sulle scelte da adottare e sui loro costi – non soltanto economici, ma anche elettorali. Sempre più spesso le questioni migratorie sono viste nell’ottica dell’identità culturale, rendendo ardua una valutazione oggettiva anche degli effetti positivi dell’immigrazione. Un aspetto decisivo per contenere i rischi di fratture sociali è quello dell’istruzione fin dalla prima scolarizzazione, come potente strumento per creare un tessuto sociale coeso, e al tempo stesso aperto alle diversità, pur senza diventare frammentato o ghettizzato.

          Particolare rilevanza ha assunto negli ultimi anni la macro-regione “euro-africana”: è questa la scala sulla quale analizzare i fenomeni migratori che interessano più direttamente l’Europa e l’Italia. Interventi organici devono necessariamente affrontare le tre fasi dei flussi: quella pre-migrazione (ove possibile, in cooperazione con i paesi di partenza), quella di transito (in particolare con i paesi nordafricani) e quella dell’arrivo nei paesi europei (che in molti casi non sono quelli di destinazione finale o, comunque, quelli prescelti dai migranti). Una politica onnicomprensiva dovrebbe creare le condizioni per un ritorno nei paesi di origine e una vera circolazione umana, invece di un flusso unidirezionale.

          Sono di grande importanza anche le migrazioni intra-europee, nel contesto di una ridefinizione dei concetti stessi di Stato e nazione rispetto al livello di aggregazione della UE. A sua volta, questo è articolato in raggruppamenti “a geometria variabile” come l’area di Schengen, che naturalmente non coincide con l’intera Unione né con l’eurozona, ponendo ulteriori difficoltà per l’attuazione di politiche coerenti in settori diversi.

          Nessuno dei modelli di integrazione sperimentati finora sembra aver avuto un vero successo: né quello britannico, né quello francese, né più recentemente quello tedesco. Paesi tradizionalmente molto aperti agli immigrati, come i Paesi Bassi, hanno profondamente cambiato il proprio atteggiamento negli ultimi anni. Altri, come l’Italia, stanno sperimentando una difficile transizione culturale da paesi di emigrazione a meta (almeno temporanea) di immigrazione. In ogni caso, una lezione comune è il grave pericolo insito in una segregazione (fisica e socio-culturale) dei nuovi arrivati, che diventa un grave ostacolo all’integrazione.

          Guardare alle questioni migratorie come (anche) a un problema di sicurezza è probabilmente necessario, ma finora non ha portato a buoni risultati nella gestione dei flussi – e rischia comunque di allontanare l’attenzione da alcuni aspetti sociali e umanitari primari. In ogni caso, si potrebbe puntare a un concetto ampio di sicurezza, che, dunque, incorpori l’incolumità e la salute dei migranti stessi, sulla base delle molte esperienze accumulate con le operazioni di soccorso marittimo e di assistenza a terra.

          La presenza di stati fallimentari o fortemente destabilizzati sulla sponda Sud ha alterato profondamente il quadro strategico, facendo percepire la questione dei migranti come una vera emergenza, piuttosto che come un dato strutturale di lungo periodo. Il fattore-terrorismo è senza dubbio un catalizzatore del dibattito in corso sui flussi migratori, soprattutto per la componente criminale e clandestina che gestisce quasi per intero il fenomeno, traendone grandi profitti. Il problema si lega peraltro alla crescente preoccupazione per la sicurezza delle cosiddette “infrastrutture critiche”, che costituiscono una sorta di anello debole dei sistemi di sicurezza dei paesi più avanzati. Come per i flussi migratori, è necessaria una ridefinizione del rapporto tra le frontiere “difendibili” e la libera circolazione delle persone, delle informazioni, delle merci, che in parte superi la distinzione tradizionale tra fronte interno ed esterno della sicurezza. Alcune delle infrastrutture più “critiche” dal punto di vista sociale sono effettivamente i luoghi con una forte concentrazione di popolazione civile, e qui si può creare un ulteriore legame diretto tra le questioni identitarie sollevate dall’immigrazione e le misure di sicurezza necessarie a monitorare popolazioni sempre più diversificate, soprattutto nelle maggiori città turistiche e nei grandi centri urbani.

          La specifica sfida posta all’Europa dalla disgregazione della Libia è finalmente oggetto di decisioni in sede europea, che dovranno comunque tenere conto delle molte concause dei flussi migratori, pur cercando di arginare il fenomeno con la massima urgenza, anzitutto per ragioni umanitarie. Gli strumenti militari possono dare un contributo importante, ma vanno inseriti in una serie di interventi diplomatici, economici e di assistenza. In ogni caso questi richiedono un maggior grado di centralizzazione decisionale e di coordinamento operativo.

          Inoltre, le tensioni sociali acuite dalla forte concentrazione geografica di migranti (e richiedenti asilo) in poche zone di Paesi come l’Italia devono essere valutate nel loro possibile effetto sul clima politico, che a sua volta può determinare le scelte sulle più ampie policy relative alle migrazioni. Gli interventi di breve termine sono, dunque, direttamente connessi agli sviluppi nel medio e lungo termine di migliori capacità di gestione da parte europea.

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