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Attività

Arti e mestieri: risorse per il mondo produttivo

    • Milano
    • 5 Luglio 2010

          La riscoperta della cultura artigiana, intesa come produzione di altissima qualità derivante dall’accumulo, dalla combinazione e dalla diffusione dei saperi, è un tema chiave per l’Italia. Non soltanto perché, come si rileva dalla trattatistica rinascimentale alla saggistica più recente, il Paese ha ereditato un inestimabile patrimonio storico, ma perché la valorizzazione di questo patrimonio nell’economia di oggi può essere la chiave di volta per l’uscita dalla crisi.

          L’attuale dissesto sancisce la sconfitta dell’economia di carta e l’affermarsi di un nuovo paradigma imperniato sullo sviluppo reale. L’Italia, paese a vocazione manifatturiera, può e deve trarre vantaggio da questo. Occorre tuttavia affrontare alcune criticità, emerse negli ultimi anni, che rischiano di mettere a repentaglio la nostra capacità di competere sul mercato internazionale.

          L’Italia, Paese della “bottega” come piccolo nucleo di aggregazione di industriosi artigiani, rimane infatti un sistema produttivo in cui il 95% del PIL proviene da imprese con meno di 10 addetti, spesso di carattere familiare. Una realtà complessa, che presenta molti vantaggi (alta qualità dei prodotti, continuità aziendale e trasferimento delle manualità), ma anche diversi limiti (patrimonializzazione spesso inadeguata, difficoltà ad agire sui mercati internazionali, bassa propensione al rischio).

          In sintesi, “piccolo” non è né bello né brutto: è italiano e come tale va sostenuto. Agevolando, per esempio, l’integrazione delle PMI in una rete produttiva, all’interno della quale l’impresa possa ricercare a stringere alleanze, possa sentirsi più tutelata rispetto alla concorrenza internazionale, possa innovare attraverso una più ampia condivisione delle nuove tecniche di produzione e del know how.

          La valorizzazione dei mestieri come risorsa produttiva è inoltre legata alla qualità del sistema formativo. Oggi l’Italia paga le conseguenze di un vero e proprio cortocircuito tra i modelli di istruzione e l’inserimento dei giovani nelle imprese. La mortificazione dei percorsi di formazione professionale la nozione, inculcata nei giovani, che essi portino a svolgere impieghi di “serie B”, lasciano in eredità una situazione dove il tasso di disoccupazione giovanile è al 30%, ma in cui le imprese spesso faticano a trovare alcune figure professionali a loro indispensabili.

          Su questo fronte, occorre mettere in atto una profonda azione riformatrice per allineare l’offerta formativa alle esigenze del sistema produttivo. Vi sono numerosi percorsi a cui l’Italia potrebbe ispirarsi- la recente riforma francese, ad esempio, oppure il modello tedesco, nel quale un ragazzo di 15 anni decide se intraprendere un percorso tecnico (formazione professionale) o astratto (formazione intellettuale). Bisogna inoltre superare l’idea che la formazione post-scolastica debba essere necessariamente di matrice universitaria: gli istituti tecnici terziari possono essere uno strumento importante di trasmissione dei saperi e delle competenze tecniche di cui le imprese hanno forte necessità. Occorre, infine, coniugare l’offerta formativa a forme d’impiego flessibili ma tutelate, mediante l’introduzione di contratti di lavoro adeguati e forme di welfare meno penalizzanti per i giovani.

          Infine, il rilancio della cultura artigianale in Italia è ostacolato da un impianto legislativo e burocratico che spesso mortifica le realtà produttive. Le regole sono indispensabili, perché garantiscono la concorrenza stabilendo un level playing field, tutelano la qualità attraverso la lotta alla contraffazione, coniugano la produzione a obiettivi di lungo periodo come la sostenibilità. Tuttavia, alla qualità delle regole si è spesso sostituita la quantità: la sindrome dell’ horror vacui legislativo. Un fenomeno profondamente regressivo, perché penalizza soprattutto le piccole imprese e la produzione artigianale. La crisi e la competizione internazionale dimostrano che uno snellimento del fardello burocratico non è soltanto auspicabile, ma necessario alla sopravvivenza e al rilancio di questo straordinario patrimonio produttivo.

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