L’assetto istituzionale americano ha retto l’impatto delle contestazioni “preventive” del voto – giunte da alcuni dei canditati repubblicani più radicali – e di un clima politico estremamente polarizzato. Sarebbe fondamentale se il Paese superasse il trauma collettivo e lo scontro ideologico relativi al voto del novembre 2020 e dei fatti del gennaio 2021, per potersi concentrare sulle molte sfide economiche e di sicurezza.
Una situazione di “legislative gridlock” sembra quasi inevitabile per i prossimi due anni, ma è possibile che i classici cicli politici del sistema partitico americano stiano cambiando in modo strutturale: in questo caso non si è verificata una “red wave”, ma è altrettanto vero che due anni fa non si è neppure verificata una “blue wave” – i Democratici in quell’occasione hanno perso seggi al Congresso, pur conquistando la Casa Bianca.
Donald Trump è stato, secondo alcuni, seriamente ridimensionato dal suo stesso partito, nel senso che i più estremisti tra i candidati che ha direttamente sostenuto non hanno fatto benissimo, mentre cresce la contestazione della sua leadership incontrastata – forse anche della sua ricandidatura – nell’establishment del GOP.
Due ulteriori fattori rilevanti per l’esito elettorale sono stati il turnout elevato e l’interesse diffuso per il tema dell’aborto dopo la sentenza della Corte Suprema a guida conservatrice. Entrambi i fattori hanno favorito i Democratici: erano stati in parte previsti, ma forse sottovalutati dai sondaggi dopo l’estate.
L’economia americana sta per ora eccedendo le aspettative – soprattutto il mercato del lavoro – e anche questo potrebbe aver influenzato il risultato elettorale, nonostante le forti preoccupazioni per il futuro sia nell’opinione pubblica sia a Wall Street. Il rallentamento è, comunque, meno grave del previsto e non prefigura al momento una recessione, anche se restano seri problemi di fondo. Il focus sull’inflazione c’è stato – i Repubblicani hanno duramente criticato l’Inflation Reduction Act della scorsa estate, sebbene in modo piuttosto generico – ma non è stata proposta alcuna soluzione pratica alternativa; i Democratici hanno così potuto sottolineare che la Fed si sta già occupando del problema inflazione attraverso i tassi d’interesse.
Il vero rischio rimane che la lotta all’inflazione finisca per rallentare la crescita (e rafforzare eccessivamente il dollaro) in una fase di incertezza per settori-chiave come le tecnologie digitali e l’energia.
In questo quadro, si può in ogni caso prevedere una notevole continuità in politica estera. La strategia verso la Cina, sia sul piano della sicurezza sia su quello economico-commerciale, rimane sostanzialmente bipartisan. Il problema irrisolto è soprattutto di tipo esterno, cioè quello delle consultazioni con gli alleati europei su temi strategici come i semiconduttori e le tecnologie digitali: il rischio è che la competizione o la frammentazione transatlantica prevalga sui molti e importanti interessi comuni.
La questione non ha, comunque, avuto un peso reale sull’andamento del voto, e nonostante alcune esitazioni riguardo all’entità e alla durata degli aiuti militari ed economici a Kiev, non sembra probabile un vero mutamento di rotta sia nel fronte repubblicano che nel partito del presidente. Il livello di sostegno resterà lo stesso, come anche il buon coordinamento con gli europei e gli altri alleati. Semmai, restano i timori sulla tenuta del fronte europeo.
Il rapporto con l’Europa, nel complesso, sarà comunque condizionato da una pressione di fondo – non sempre acuta e finora gestita amichevolmente dall’amministrazione Biden – affinché gli alleati nel vecchio continente facciano maggiori sforzi nel settore della difesa.
Su tutti i dossier fondamentali, la maggiore preoccupazione è la solidità e resilienza delle opinioni pubbliche – a cominciare da quella americana, comunque tuttora polarizzata – a fronte di sfide che richiedono un’azione paziente e continuativa in vari settori da parte dei governi, oltre che fiducia reciproca tra governanti e cittadini.