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Verso il Green World: sfide e opportunità della nuova mappa dei rischi

  • Venezia
  • 30 Settembre 2022
  • 2 Ottobre 2022

        Non si sta vivendo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca. Lo stato dell’arte è quello di un pianeta malato. I costi di questa malattia si fanno sentire anche sul fronte economico: l’ultimo rapporto di IPCC stima un danno pari allo 0,25% del PIL mondiale come conseguenza dei cambiamenti climatici. Oltretutto, tale danno è squilibrato perché impatta soprattutto sui paesi emergenti, anche se la proiezione prevede aumenti persino nei paesi più sviluppati. In questo contesto, nessuno può dirsi immune dai problemi attuali.

        Occorre agire ed agire velocemente. Ci sono due fattori chiave che devono guidare la transizione verso un Green World. Il fattore principale è la complessità, il secondo è il tempo. Si è di fronte a problemi complessi che richiedono soluzioni complesse. Inoltre, è tutto estremamente veloce e il ritardo accumulato è davvero enorme. Il rischio dei rischi è fare le cose in fretta e male. Serve quindi un salto di qualità di coscienza collettiva, senza la quale si rischia solo di avere una “favola bella” di dannunziana memoria.

        Più che parlare di sostenibilità, che pare un termine oggi abusato, è opportuno parlare di conversione ecologica. Una triplice conversione: ambientale, sociale ed economica. Per attuarla è necessario un matrimonio tra ecologia ed economia, che condividono la stessa radice etimologica: dal greco oîkos, casa. Le soluzioni ci sono e interessano l’ambiente in senso lato, le imprese e la finanza che le sostiene.

        Sul fronte dell’ambiente, la prospettiva deve essere quella del concetto di One Health, in cui la salute dell’individuo e la salute del pianeta sono al centro ed interconnesse. Oggigiorno, i rischi sanitari sono decisivi e transnazionali. Essi riguardano principalmente gli agenti patogeni, la resistenza antimicrobica e la circolazione dei materiali tossici. A livello internazionale sono in atto delle risposte, come il global pandemic treaty che l’OMS sta negoziando. Inoltre, l’invecchiamento della popolazione porta con sé un aumento delle malattie croniche, che per circa la metà dipendono dagli stili di vita. Lo stile di vita richiede un cambiamento dei comportamenti che può essere diffuso e trasmesso già nelle istituzioni educative. Tutti questi rischi sanitari possono essere affrontati e gestiti, purché saldi nella convinzione che le risorse dedicate alla salute sono un investimento e non una spesa.

        Affinché l’importanza della dimensione “salute” diventi oggetto di attenzioni quotidiane anche nel mondo delle imprese, occorre forse interrogarsi sull’opportunità di includere il quarto fattore, H (Health), alla triade ESG (EnvironmentalSocial e Governance). Certamente la dimensione sociale assorbe quella della salute, ma occorre portare quest’ultima in primo piano per darle maggiore rilievo. Sempre in ambito di ESG, le metriche oggi disponibili sono ancora molto eterogenee e, a tratti, poco comprensibili nonché slegate dall’effettivo impatto ambientale. Lo sforzo di regolamentazione che l’Unione Europea sta facendo – ad esempio, con il varo della nuova tassonomia verde – dovrebbe occuparsi anche della standardizzazione degli ESG.

        Sul fronte delle imprese, il modello deve rivoluzionarsi e passare da estrattivo a (ri)generativo. Certamente le imprese che andranno positivamente incontro alla transizione verso il Green World potranno beneficiarne in termini di maggior resilienza, minor costo del capitale e maggiore capacità di attrarre talenti. Allo stesso tempo, tuttavia, la transizione non sarà esente da costi, anzi. Inoltre, tali costi impatteranno in modo molto eterogeneo i settori. Ciò implica la necessità di adottare delle politiche di redistribuzione, oltre che delle politiche di accompagnamento che consentano ad imprese e persone di comprendere i benefici della transizione e governarla senza subirla passivamente.

        In tale scenario, la finanza può svolgere un ruolo fondamentale. Anzitutto, può veicolare capitali verso i progetti migliori per la transizione. Allo stesso tempo, inoltre, può accompagnare le imprese, anche medio-piccole, fornendo servizi di consulenza nell’ambito ESG. In tale ambito, le politiche della BCE –  che, ad esempio, includeranno gli effetti climatici negli stress test sul capitale di vigilanza delle banche – accelereranno la transizione.

        In generale, l’Unione Europea si sta muovendo come leader nell’ambito della transizione verso il nuovo mondo verde. Questo è un pregio. Tuttavia, l’Unione contribuisce alle emissioni di gas serra per il 7% del totale mondiale. Non si può quindi fare da soli, bensì occorre avere la capacità di persuadere e convincere gli altri grandi paesi, idealmente tutto il G-20. Ci si augura, in conclusione, che l’Unione abbia questa capacità di leadership su un tema cruciale, dove si gioca il futuro dell’umanità.

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