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Uscire dalle crisi: le sfide per l’Europa

  • Venezia
  • 30 Settembre 2022
  • 2 Ottobre 2022

        Quella in Ucraina è una guerra esistenziale per Vladimir Putin. Se la perde, perde il potere. Ed è per questo che vuole, con ogni mezzo, dividere gli europei usando l’energia come arma geopolitica: non a caso la centrale di Zaporizhzhia che i russi controllano è la più grande in Europa ed è perfettamente integrata nel sistema europeo. Gli europei, dal canto loro, hanno a che fare con un cambiamento strutturale degli equilibri che la guerra ha spostato verso Est. Cresce il ruolo della Polonia, un fatto che l’Italia potrebbe intercettare e di cui potrebbe giovarsi anche per sterilizzare un rischio strategico aggiuntivo per la sua politica estera. Ovvero la prevedibile scoperta del fianco Sud, quello mediterraneo.

        L’Europa è sempre cresciuta per accelerazioni separate che hanno spesso offerto forti spinte verso i cambiamenti istituzionali. La pandemia, ad esempio, ha indotto un approccio solidale, concretizzatosi nell’acquisto comune dei vaccini. Nel percorso europeo servono mutamenti strategici quali una riforma istituzionale e il varo di una Costituzione europea, anche se, secondo alcuni, i tempi non sono adatti e maturi per passi di questo tipo. Altra proposta emersa è quella di creare una seconda Camera che rappresenti la società civile europea. Molti auspicano un superamento del criterio dell’unanimità che rallenta l’operatività delle istituzioni e un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo. Non tutti però concordano: secondo alcuni i tempi non sono adatti per riforme di questo tipo.

        Se per la pandemia si è scelto un approccio solidale, diverso invece è per ora il metodo adottato per affrontare la crisi economica e, soprattutto, quella energetica. Nel 2020 Berlino e Parigi hanno spinto per conclusioni comuni, ma nel 2022 hanno cambiato politica. In particolare, i tedeschi con lo stanziamento di 200 miliardi di euro per la loro emergenza energetica e il veto a livello europeo per un price cap al gas hanno privilegiato soluzioni autonome. Non è facile riproporre per l’Europa la stessa solidarietà sperimentata durante la pandemia. Ma qualcosa è stato fatto e si può continuare a fare. Con il Next Generation Eu si è, ad esempio, superato il divario Nord Sud. Ci sono da spendere i 400 miliardi del MES tuttora inutilizzati: a fine anno verrà chiusa la struttura per la pandemia che potrebbe essere destinata ai problemi della crisi energetica. Si potrebbe, inoltre, combinare la dotazione dello SURE con i finanziamenti del MES.

        Leadership forte e autonomia strategica: sono queste le caratteristiche senza le quali l’Europa è destinata al declino, stretta tra Cina e Stati Uniti, le due grandi potenze del presente e del futuro. Per autonomia strategica si intende in primo luogo quella militare, con l’auspicata costruzione di un esercito europeo in cui possano essere messe a fattor comune le varie eccellenze della difesa, costruendo al tempo stesso un percorso complementare alla Nato. La guerra in Ucraina ha indotto la Germania a virare su un potente riarmo, mettendo in campo risorse doppie rispetto a quelle russe e molto superiori a quelle francesi.

        Altrettanto importante è un’autonomia tecnologica che porti alla creazione di un cloud europeo e di un ulteriore sviluppo dell’intelligenza artificiale, senza cadere nell’errore di varare criteri di iper-regolamentazione, spesso tra i maggiori indiziati per il fallimento dello sviluppo di campioni aziendali europei.  Fondamentale anche la riflessione sulla forte crescita dell’inflazione che va tenuta sotto controllo perché il rischio è, secondo alcuni, l’avvicinarsi in Europa di uno scenario che ricorda tristemente i prodromi della repubblica di Weimar. L’inflazione – che tocca ormai cifre vicine all’11% – ha provocato anche una forte crescita delle disuguaglianze. Non solo in termini numerici, ma anche in termini qualitativi: all’inizio degli anni 2000 erano poveri gli anziani, oggi lo sono le famiglie con figli. Secondo l’Istat nel 2021 i poveri assoluti sono aumentati in Italia di un milione di unità.  In più l’Italia è nel pieno di un crescente inverno demografico: alla data i nati sono soltanto 380.000, una cifra che fa temere per la sostenibilità del sistema di un welfare centrato essenzialmente sulla previdenza, mentre il livello dei trasferimenti si ferma al 10%.

        Nell’intera Europa non esiste più un fondamento teorico-filosofico per costruire una nuova architettura sociale. Manca del tutto una bussola per orientare i singoli provvedimenti che vengono presi in maniera non coordinata, l’uno sganciato dall’altro. Manca poi una politica industriale che accompagni le decisioni politiche. Prova ne è la recente decisione sul mondo automotive: se si privilegiano le auto elettriche, ma le batterie sono monopolio delle aziende cinesi, si mette in pericolo l’industria automobilistica europea.

        La forza identitaria dell’Europa si giocherà, dunque, sull’autonomia strategica e tecnologica e su un maggiore sviluppo del mercato interno, sul completamento dell’unione bancaria, su una riforma fiscale e sulla nascita dell’euro digitale nonché sul rafforzamento della cultura e dei diritti. Resta strategico il rapporto transatlantico che va però percepito in modo diverso, ovvero non va identificato con la NATO, quindi solo come un’alleanza militare, ma va riconosciuto come un insieme di valori che caratterizzano l’Occidente.

        La crisi della globalizzazione, come ebbe a dire Barak Obama, “non è la fine del mondo, ma la fine di un mondo”. Il “rimescolarsi” della governance globale accade in un momento difficile per l’Europa. Il complesso funzionamento di una governance globale risulta ormai affidato alle capacità di dialogo tra Stati Uniti e Cina. Con un ben chiaro problema di lungo periodo: mentre la politica estera cinese è caratterizzata dalla continuità, quella americana è ancora troppo frammentata e variabile. Più la guerra dura, più la Russia avrà la possibilità di contare su un indebolimento della tenuta sociale delle società europee dovuta alla carenza di energia. E, per ora, su un punto i due giganti si intendono: non è ancora il momento di riportare la pace in Ucraina. Qualcosa in più si potrà capire dopo l’imminente Congresso del Partito Comunista cinese e a seguito delle elezioni di mid-term previste ad inizio novembre negli Stati Uniti.

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