Italia e Turchia condividono interessi vitali in un’area geografica e geoeconomica che è diventata recentemente ancor più nevralgica rispetto al passato, e nella quale si intrecciano focolai di instabilità e potenziali opportunità. Il conflitto russo-ucraino influenza direttamente questo complesso di questioni regionali, oltre al quadro internazionale in senso più ampio.
Le sanzioni contro la Russia si inseriscono in una situazione complessiva di difficoltà crescenti per il commercio internazionale: è necessario per tutti gestire i rapporti di interdipendenza in modo da salvaguardare gli interessi comuni e mitigare gli effetti negativi delle tensioni politiche e dell’incertezza. L’impatto del conflitto è stato chiaramente globale, mostrando tra l’altro la vulnerabilità di molti Paesi africani (non soltanto del Nord Africa) che sono di grande rilevanza anche per gli interessi europei: in questi casi, la pressione economica internazionale si innesta su contesti locali già fortemente instabili o deteriorati.
Per la Turchia i costi sono comunque elevati, visti i rapporti molto stretti con l’economia russa, e alcune misure sostanzialmente emergenziali sono state prese per proteggere in parte l’economia turca dalle ripercussioni più dirette e immediate. La sfida è enorme, soprattutto perchè il conflitto si è trasformato in una guerra di attrito e rende arduo pianificare investimenti in settori-chiave oltre che gestire le urgenze più acute.
Queste considerazioni vanno comunque riconciliate con gli obiettivi di sicurezza della NATO e dei suoi Paesi membri. Il ruolo stabilizzatore dell’Alleanza è stato ulteriormente confermato e la Turchia è pienamente coinvolta negli sforzi comuni per tutelare i principi fondanti dell’ordine internazionale – compresa l’attuazione della Convenzione di Montreux del 1936 in relazione al passaggio di navi negli Stretti del Bosforo e de Dardanelli. Questo specifico aspetto della crisi in corso ci ricorda l’importanza del Paese per la sicurezza delle maggiori rotte marittime del Mediterraneo, che naturalmente è una questione vitale anche per l’Italia.
Ankara ha tentato sistematicamente di mantenere una posizione equilibrata tra Russia e Ucraina, e si è offerta come mediatore con qualche successo parziale, in condizioni ovviamente proibitive. Nonostante le difficoltà, la Turchia resterà probabilmente un intermediario tra la Russia e l’Occidente, se non altro perché ha vitali interessi nazionali in gioco nella crisi – non soltanto economici e di sicurezza nazionale ma anche in termini di flussi migratori, nuovamente in crescita dopo la crisi acuta del 2015 legata al conflitto in Siria.
A dispetto dell’attuale indisponibilità russa verso un vero negoziato, Italia e Turchia concordano sulla possibilità che ciò possa cambiare in un prossimo futuro, forse perfino con un’accelerazione improvvisa delle difficoltà che Mosca sta incontrando in termini militari sul terreno e in termini economici sotto l’effetto delle sanzioni (uno scenario che non si può comunque escludere). In tal senso, Roma e Ankara condividono un atteggiamento pragmatico, pur con una chiara fermezza nel condannare le azioni russe e l’escalation della violenza contro gli obiettivi civili ucraini. Come insegna la storia, le condizioni della pace vanno costruite già durante la guerra.
In un’ottica più ampia di architettura di sicurezza paneuropea, è importante che vi sia una consapevolezza da parte dei Paesi UE di un’Europa che va oltre i confini dell’Unione. In tal senso il lancio della “European Political Community” lo scorso ottobre può facilitare il rilancio dei principi di Helsinki dell’OSCE sulla sicurezza continentale allargata, in un contesto aggiornato e adattato.
Le vicende ucraine confermano (in modo drammatico) che le tecnologie digitali sono al contempo un “game changer” positivo e un moltiplicatore di vulnerabilità: è quindi decisivo che a livello NATO vi siano conversazioni più efficaci su questo fattore dei conflitti odierni. L’esigenza di rivolgersi a fornitori o partner problematici per componenti essenziali sarebbe ridotta proprio da una più stretta cooperazione tra i Paesi alleati. I trasferimenti di tecnologie sono vitali per l’efficienza e la resilienza delle forze armate, come proprio la crisi ucraina sta confermando una volta di più, per entrambi i contendenti seppure in modi assai diversi. Nel quadro transatlantico, Italia e Turchia hanno un ruolo importante da giocare negli sforzi per approfondire la cooperazione nel campo della difesa, che è ormai sempre più intrecciato con i rapidissimi sviluppi delle tecnologie civili.
La UE sconta un ritardo almeno altrettanto grave in questo settore cruciale, e ha iniziato solo recentemente a focalizzarsi sul problema. Per tutti – dunque certamente anche per Italia e Turchia – il rapporto con la Cina è tuttora decisivo in tal senso, e richiede grande senso di equilibrio.
Nell’ottica del business in chiave bilaterale italo-turca, La prospettiva della piena adesione alla UE rimane un obiettivo di fondo su cui convergono interessi politici ed economici, seppure nella consapevolezza che la discussione dovrà ripartire su basi nuove per rendere realistico un processo di questo tipo. La questione di Cipro è uno degli ostacoli irrisolti, ma in senso più generale il problema posto dalla Turchia è la sua stessa dimensione demografica, e in certa misura la sua collocazione geografica. Un approccio pragmatico, almeno a medio termine, richiede creatività e flessibilità da entrambe le parti per lavorare in vista dei molti obiettivi comuni anche a prescindere da un’agenda prefissata per la piena adesione.
La difficile gestione dell’inflazione, a fronte della minaccia di recessione, rende evidente una certa fragilità dell’intero sistema economico globale, in particolare in chiave finanziaria e monetaria. In tale contesto, i mercati emergenti saranno colpiti ancora più duramente degli altri, con probabili effetti negativi a cascata sulla sicurezza regionale in vari teatri. Non è chiaro peraltro quali saranno i driver della crescita futura, in una fase di rallentamento strutturale dell’economia cinese e di minore apertura dei mercati globali. La frammentazione economico-commerciale che è stata accelerata dalla crisi ucraina non avvantaggia certamente in Paesi più poveri, che saranno colpiti da gravi rischi politici.
Tra i grandi interessi economici condivisi da Italia e Turchia vi sono certamente le infrastrutture nel bacino del Mediterraneo – portuali ed energetiche in particolare – e la sfida della ricostruzione ucraina – con le sue complesse implicazioni geopolitiche.