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The EU and China facing global change: Energy transition, growth models, and global trends

  • International digital conference
  • 5 Dicembre 2022

        In collaborazione con Public Policy Forum International, Università di Pechino

        Sia da parte europea che cinese, c’è un vastissimo consenso sull’esistenza di un grave rischio di rallentamento dell’economia globale, complicato dalle attuali politiche monetarie in risposta alle spinte inflazionistiche – sia a fronte della guerra russo-ucraina sia dell’uscita dalla recessione pandemica. Questa combinazione pone una sfida enorme per le politiche economiche, e nel gestire problemi di questa portata un efficace quadro multilaterale è vantaggioso per tutti i Paesi – avanzati, emergenti, in via di sviluppo. In realtà, si deve constatare che le più recenti scelte nazionali sono andate in direzione opposta, con scarso coordinamento e iniziative unilaterali – a cominciare dalla Fed americana, la cui azione sui tassi d’interesse è particolarmente rilevante visto il ruolo internazionale del dollaro.

        Senza accordi commerciali multilaterali per l‘armonizzazione progressiva delle regole – che necessariamente dovranno coinvolgere la Cina – sarà quasi impossibile gestire la volatilità in vari settori-chiave dell’economia globale. In ultima analisi, la frammentazione dei mercati viene in questa fase accelerata dalle scelte politiche sia a Washington che a Pechino, in un pericoloso circolo vizioso che provocherà danni per tutti. Secondo alcuni partecipanti, una vera “nuova Bretton Woods” è indispensabile, includendo sia il settore commerciale sia quello monetario e finanziario. Altri sottolineano, con altrettanta urgenza, l’obiettivo della sostenibilità come componente di un grande accordo di questo tipo.

        Proprio la crescente importanza del commercio e delle tecnologie ha causato una maggiore centralità di considerazioni strategiche e, dunque, della reimposizione di alcune barriere ai liberi mercati. In Europa la rapida successione della pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina ha reso drammaticamente evidente la dipendenza da poche materie prime e prodotti assolutamente essenziali – dai medicinali all’energia alle filiere alimentari – accelerando un ripensamento complessivo delle interconnessioni economiche. C’è poi un fattore di “rischio politico”, che riguarda direttamente proprio la Cina, legato al business prima ancora che ai governi: oggi prevale una valutazione assai più cauta delle prospettive del mercato cinese rispetto al recente passato.

        In tale contesto, si assiste al ritorno della politica: le dinamiche di politica interna sono decisive in tale fenomeno molto diffuso, e non potranno essere del tutto ignorate da alcun regime politico. In chiave europea, ciò viene declinato anche in chiave di standard ambientali e di diritti umani, creando frizioni con paesi come la Cina – e non soltanto. Sulle prospettive a breve e medio termine, alcuni partecipanti sono più ottimisti sulla resilienza dell’economia globale, che sembra essere stata in grado di assorbire gli shock – almeno dal 2008 in avanti – meglio del previsto, pur certamente con costi elevati per alcune componenti sociali più vulnerabili.

        Le relazioni bilaterali Cina-USA sono certamente cruciali anche per il quadro globale: vi sono timidi segnali di un possibile “rapprochement selettivo”, grazie a rapporti diretti tra le due leadership anche a dispetto delle tensioni sottostanti. La definizione della Cina come “systemic challenger” sia da parte della NATO che della UE, rimane ovviamente problematica per Pechino, ma si possono comunque esplorare specifiche aree di cooperazione tecniche, sia con Washington che con Bruxelles – come nel caso di alcuni programmi scientifici. Pechino è sempre più consapevole anche di un problema di immagine internazionale che dovrà gestire meglio nel prossimo futuro, a cominciare da una maggiore disponibilità a chiarire i propri interessi fondamentali e i propri obiettivi concreti. La posizione cinese è molto sensibile alla mancata autonomia europea rispetto alle scelte di sicurezza americane; una critica che la maggioranza degli europei respinge, sottolineando che la EU persegue spesso una linea parzialmente diversa da quella americana, e che perfino in ambito NATO c’è un costante dibattito interno molto franco.

        Guardando in modo più specifico alla crisi energetica in corso, questa ha una portata realmente globale, non soltanto europea, come confermano i dati sulle pressioni inflazionistiche che si stanno manifestando praticamente in tutti i Paesi del mondo. La diversificazione -un effetto quasi immediato – è caratterizzata dal massiccio e crescente aumento degli investimenti nelle fonti rinnovabili guidato  da UE e Cina. Da parte europea si sta però anche puntando a un’ulteriore forma di diversificazione: quella rispetto ai fornitori di componenti e materiali essenziali per l’intero settore rinnovabile.  Nel più breve termine la UE deve assicurarsi soprattutto un adeguato flusso di gas non soltanto per il 2023, ma anche per il 2024, in un contesto di mercati globali – in particolare di LNG – molto competitivi, in cui proprio la Cina avrà comunque un peso determinante, ancor più in un eventuale scenario di crescita in netta ripresa. L’economia cinese è tuttora fortemente dipendente dal carbone, ma sta a sua volta investendo molto nella trasformazione sostenibile; ciò richiede di fatto l’adozione di un nuovo modello di crescita, con l’attiva partecipazione delle autorità locali e della cittadinanza, e un utilizzo più esteso dei meccanismi di mercato per orientare investimenti e consumi.

        Come in altri settori, anche qui il “fattore USA” sarà fondamentale, a maggior ragione dopo l’Inflation Reduction Act (agosto 2022) con il quale l’amministrazione Biden sta tra l‘altro sovvenzionando la transizione energetica. In ogni caso, per la natura stessa della sfida ambientale, sarà fondamentale incanalare le iniziative nazionali verso obiettivi e impegni coordinati. Ed è comunque interesse comune, per la UE e la Cina, sostenere gli sforzi dei Paesi meno avanzati che devono ancora fronteggiare il dilemma tra sviluppo economico e neutralità carbonica – emerso in tutta chiarezza alla COP27 – e coltivare ampie coalizioni con Paesi come l’India e il Brasile. Queste forme di collaborazione hanno peraltro il potenziale per ridurre i rischi di una frammentazione estrema del sistema internazionale, superando in parte le contrapposizioni, legittime e inevitabili  tra modelli politici, come suggeriscono i recenti accordi commerciali siglati in Asia, sia a guida americana o giapponese, sia a guida cinese.