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Solo un mercato del gas più liquido ci tutela dai rischi geopolitici. Intervista a Massimo Nicolazzi

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    • 13 Giugno 2014
    • Giugno 2014
    • 13 Giugno 2014

    Un mercato più liquido del gas è ciò di cui l’Europa ha bisogno per superare i problemi causati dal conflitto fra Ucraina e Russia, e non solo. Massimo Nicolazzi, Chief Executive Officer di Centrex Europe Energy & Gas, spiega al sito di Aspen l’attuale scenario del settore, sottolineando come la strada da percorrere non sia quella di aumentare la capacità di importazione (e di rigassificazione), ma quella di migliorare le connessioni fra Paesi. Solo una rete europea che lavora come un grande hub del gas, infatti, può garantire quella sicurezza energetica che nessuna altra fonte – rinnovabili incluse – è oggi in grado di dare.

    Quali sono i rischi del conflitto fra Ucraina e Russia per gli approvvigionamenti italiani di gas?
    I rischi sono molto più limitati di quanto normalmente si pensi. Qualsiasi fornitore di idrocarburi – Russia in primis – ha un interesse fortissimo a mantenere l’erogazione, visto che le forniture di queste materie prime sono spesso una componente fondamentale degli introiti fiscali dei Paesi produttori. Nei Paesi europei consumatori – come l’Italia – si è poi anche ridotta significativamente la domanda, e non per conquiste in termini di efficienza energetica, ma per la crisi.

    Anche i Paesi come l’Ucraina non hanno interesse a fare saltare il tavolo: il problema è che Kiev ha un sistema industriale molto energy intensive e consumi che sono più della metà di quelli italiani. Pensare di rifornirla da Occidente è, nel breve periodo, tecnicamente impossibile. Storicamente poi, ed indipendentemente dal governo di turno, l’Ucraina ha sempre fatto fatica a pagare. Le tensioni, insomma, sono nate anche in relazione alla scarsa affidabilità debitoria del Paese, con i russi che negli ultimi anni hanno dovuto continuare a finanziare il debito ucraino per non dover svalutare i propri crediti.

    Si parla di cercare alternative alle forniture russe, è una strada percorribile?
    L’anno scorso i volumi di capacità di rigassificazione europei non utilizzati sono stati grosso modo pari ai volumi di gas effettivamente importati dalla Russia in Europa; e questi ultimi hanno toccato il loro massimo storico. Rigassificatore vuoto e tubo pieno vogliono dire che il gas liquefatto sceglie la strada d’Asia, perché lì spunta un prezzo quasi doppio rispetto a quello europeo. Se vogliamo comprare più gas liquefatto per sostituirlo al gas russo dobbiamo oggi competere col prezzo asiatico, quindi tendenzialmente pagarlo più caro. Certo, domani la situazione potrebbe rovesciarsi, ma questo è l’attuale stato dell’arte. Parte del problema è che l’Europa parla molto spesso di moltiplicazione delle forniture e degli importatori, ma rimane indietro nell’infrastruttura di mercato interno. Il gas non è il petrolio, e la variabile impazzita in questo caso è proprio l’infrastruttura. Ritengo che per garantire sicurezza la strada da percorrere sia assicurare maggiore liquidità al mercato, più che concentrarsi sui suoi aspetti geopolitici. E un mercato del gas più liquido si fa paradossalmente con infrastrutture in eccesso. Tali infrastrutture, peraltro, non sono (di regola) finanziabili sul mercato, e possono essere realizzate solo con il concorso pubblico, attraverso la tassazione o l’inclusione nella tariffa praticata al consumatore. Un dibattito politico sul gas e sulla sicurezza energetica dovrebbe potersi risolvere in un dibattito su quante infrastrutture in eccesso sia ragionevole far pagare al contribuente/consumatore.

    La Spagna ha proposto la propria capacità di rigassificazione come approvvigionamento alternativo per l’Europa occidentale. È un ruolo cui può aspirare anche l’Italia?
    Prima che un Paese con un’importante sovracapacità di rigassificazione come la Spagna diventi un’alternativa credibile per l’approvvigionamento del mercato europeo, bisogna superare il collo di bottiglia che ne impedisce un’efficace connessione con il resto dell’Europa. La Spagna può oggi importare l’equivalente di circa 65 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, ma con l’infrastruttura esistente ne può riesportare in Europa al massimo 5. La stessa Italia ha oggi una capacità infrastrutturale di importazione doppia rispetto all’importazione effettiva. La sovracapacità, del resto, è un fenomeno continentale: in Europa esistono 200 miliardi di metri cubi di capacità di rigassificazione, ma l’anno scorso se ne è usato solo il 20%. Qualunque capacità ulteriore si aggiunga nel sistema è in eccesso rispetto alla domanda attuale. In questo scenario il tema più importante diventa non tanto aumentare la capacità di importazione, quanto sviluppare al massimo le connessioni fra i diversi Paesi. Rendere liquido il sistema significa, insomma, costruire una rete europea che idealmente lavora come un enorme hub del gas.

    Le rinnovabili stanno crescendo e sono prodotte localmente. Quale può essere il loro contributo alla sicurezza energetica?
    Sole e vento sono autosufficienti solo se inventiamo un sistema di stoccaggio efficiente che ancora non c’è; e non siamo nemmeno vicini alla sua realizzazione. Quello a cui invece siamo molto vicini è un collasso delle power companies, ben evidente dal fatto che diversi operatori stranieri stanno svalutando i propri asset e lasciando l’Italia. La crisi di queste società è stata indotta dal crollo dei consumi, a fronte di una programmazione fatta con una curva ascendente della domanda. A questo si sono aggiunti il boom delle rinnovabili e la regola della priorità di dispacciamento. Così, oggi, mantenere la capacità installata di energia fossile è un costo. Un aumento dei consumi aiuterebbe molto, ma sta accadendo proprio il contrario: per questo dobbiamo ripensare le dimensioni del sistema e rassegnarci a qualche scelta dolorosa. Credo che le rinnovabili debbano partecipare a questo sacrificio. Anche perché senza il back-up delle centrali a gas, il rischio è che sole e vento non siano in grado di garantirci una doccia calda tutti i giorni.

     

    Massimo Nicolazzi è Chief Executive Officer di Centrex Europe Energy & Gas, con sede a Vienna. In precedenza, dopo il Master alla Michigan Law School, ha lavorato nell’ambito del Gruppo ENI, ricoprendo tra gli altri gli incarichi di Direttore degli affari legali e poi Direttore Generale per i negoziati e gli affari legali di Agip, e successivamente di Senior Vice President Exploration and Production ENI per le attività nella Federazione Russa, nell’Asia Centrale e nell’Europa dell’Est.