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  • Milano
  • 14 Ottobre 2022
  • 15 Ottobre 2022

        Viviamo in un tempo di crisi e di discontinuità: le prime hanno un inizio e una fine, le seconde invece restano, lasciando un segno indelebile. Mutuando le parole di Papa Francesco, non si tratta di un’epoca di cambiamenti, ma di un cambiamento d’epoca. Dalle crisi emergono sempre delle opportunità, ed è in questo contesto che va progettato il futuro così da generare sviluppo. Servono un ambiente interno alle aziende che cavalchi i cambiamenti e un ambiente esterno, le istituzioni, che supporti lo sforzo delle imprese. Nonostante le incertezze contingenti e le difficoltà di lungo periodo come la crisi demografica – si stima, infatti, che nei prossimi trent’anni il Paese perderà 15 milioni di abitanti – l’Italia continua a mantenere la sua rilevanza economica, specialmente nell’area euro: è l’ottava economia del mondo e nel 2022 cresce più di Francia e Germania. Il “declinismo” è un atteggiamento generalizzato che va vinto poiché impedisce di affrontare i singoli problemi.

        Il sistema industriale italiano è vivace e resistente, ma la sfida che ora si pone alle imprese non è esclusivamente quella del prodotto, ma anche del capitale umano. Il tema più delicato oggi è quello dei salari in rapporto al costo della vita, che potrebbe portare a tensioni sociali difficili da controllare, mettendo a rischio l’ombrello democratico. La sfida sociale è enorme e le imprese devono affrontarla impegnandosi nel welfare personalizzato, negli investimenti per la formazione e nell’adeguamento salariale, specialmente nel periodo attuale di elevata inflazione. Per questo fine occorre promuovere le capacità di leadership, cioè di saper osservare in modo olistico, la capacità di gestire il cambiamento, di decidere con coraggio e di semplificare poiché – ha osservato qualcuno – la complessità, che produce dispersione di responsabilità, è la fine delle organizzazioni. Solamente attraverso uno sforzo di questo tipo si producono successo e sviluppo. Tuttavia, non è sufficiente l’impegno del solo settore privato. La qualità e l’efficacia delle istituzioni sono infatti anch’esse determinanti per la crescita e lo sviluppo.

        Un ulteriore spunto di riflessione viene dalla dimensione medio-piccola delle imprese: se da un lato consente all’imprenditore una maggiore agilità e si coniuga bene con la creatività, dall’altro rappresenta un punto di debolezza quando ci si confronta con crisi esogene quali il Covid o il rialzo dei prezzi dell’energia, o quando occorre fare investimenti che siano competitivi a livello internazionale. La ridotta taglia delle aziende italiane, insieme ai ben noti problemi sui fronti della burocrazia, della giustizia, delle infrastrutture e del debito pubblico, costringe le imprese a confrontarsi con un costo del capitale molto superiore a quello delle concorrenti basate in altri paesi dell’Occidente.

        L’istruzione, la formazione e la ricerca giocano un ruolo basilare in questo contesto. Occorre attrezzarsi per soddisfare la crescente domanda dell’industria di tecnici e operai specializzati, così come di ricercatori e professionisti qualificati negli ambiti delle discipline scientifiche, dell’analisi dei dati e delle soft skills. Il rapporto università-impresa dovrebbe essere più stretto e virtuoso, promuovendo un contesto fertile in cui le carriere diventino più fluide e in cui si arrivi allo sviluppo del prodotto in modo continuativo partendo dalla ricerca.

        Negli ultimi quindici anni l’Europa ha dovuto fronteggiare tre crisi, quella finanziaria globale, che ha preso la forma di crisi dei debiti sovrani, quella pandemica e la guerra in Ucraina. La risposta dei governi è stata differente: se per la crisi finanziaria si è vista una riduzione del ruolo dello Stato per motivi ideologici e di forza maggiore, al contrario con la crisi dovuta al Covid la reazione europea tramite il Next Generation EU è stata coesa e più virtuosa. La guerra in Ucraina – con i suoi risvolti sull’inflazione e sul riposizionamento delle filiere produttive – richiede oggi significativi interventi dello Stato, anche se la dilatazione dei compiti di quest’ultimo non può rappresentare la normalità per il futuro: occorrerà stabilire un nuovo equilibrio tra Stato, le   autonomie pubbliche e quelle private. Il dibattito Stato-mercato, così come il contesto di crisi attuale, richiede un approccio non ideologico, ma di flessibilità, pragmatismo e competenza.

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