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Il Mediterraneo fra sfide geopolitiche e opportunità di sviluppo economico e sociale

  • Venezia
  • 8 Ottobre 2023

        Il nuovo conflitto esploso in Medio Oriente complica ulteriormente lo scenario di un mondo frammentato privo della sicurezza dell’equilibrio bipolare del passato e senza attori dotati dell’autorevolezza per gestire situazioni di crescente complessità. Il bacino del Mediterraneo, tornato al centro dell’attualità, non ha mai smesso di essere un nodo cruciale della politica internazionale, in cui le tensioni militari incrociano gli effetti della recente crisi energetica e del fenomeno migratorio. 

        Si tratta di crisi multiple che influiscono nel rapporto fra la sponda Nord europea e una sponda Sud che è sembrata meno capace, rispetto ad altre aree economiche emergenti, di attrarre investimenti di qualità e di generare sviluppo. L’attacco di Hamas a Israele è, inoltre, la dimostrazione di una forte crisi politica che non interessa solo i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente: gli effetti generati da sistemi politici e di governo sempre più dominati da forze radicalmente contrapposte portano all’indebolimento di quei tessuti connettivi capaci di spingere alla ricerca di soluzioni comuni. È un fenomeno ben evidente anche negli Stati Uniti e con manifestazioni crescenti in Europa. 

        In un mondo scomposto e senza equilibri, le crisi possono scalare rapidamente da livello locale a internazionale e viceversa. Il Mediterraneo può quindi sia “importare” sia “esportare” fattori di squilibrio – e ciò che sta avvenendo in Israele e a Gaza ne è tragica testimonianza – ed è quindi necessaria una strategia per affrontare le sfide da un punto di vista politico, al fine di evitare che degenerino in crisi. Per comprendere e affrontare tali sfide è necessario andare oltre i confini tradizionali del bacino per una visione allargata che dal Marocco lambisce l’India e comprende l’Africa, continente strategico da tempo al centro degli interessi cinesi. Parlare di Mediterraneo “allargato”, enfatizza da un lato la dimensione globale del mare nostrum, ma dall’altro ne evidenzia la vulnerabilità a tensioni che nascono anche in altre aree con le quali è fortemente interconnesso.

        Eppure, l’attuale momento di debolezza degli organismi internazionali e della capacità di dialogo fra Stati può portare a elaborare nuove soluzioni politiche, grazie al ruolo che questo mare mantiene storicamente come ponte tra Europa, Asia, Africa. Il Mediterraneo rappresenta l’1% del totale delle acque a livello mondiale, il 15% del traffico marittimo e il 20% del suo valore; ha, poi, un peso pari al 30-35% per le rotte strategiche e il trasporto di petrolio, fino al 65% per i rifornimenti energetici e le reti di telecomunicazione dell’Europa. 

        Costruire relazioni e strategie di sviluppo

        Diverse sono le linee di azione sulle quali concentrarsi per rafforzare politiche e strategie di sviluppo condiviso, secondo una logica di fiducia reciproca, a partire da una maggiore cooperazione economica, che può certamente favorire anche le relazioni tra i Paesi e ridurre i conflitti. Integrare le economie del Mediterraneo nelle filiere globali, fino a ricercare possibili opportunità di friendshoring, può aumentare l’attrattività per gli investimenti e le opportunità di crescita, dando risposta a recessioni e forti tassi di inflazione, che arrivano a determinare fenomeni di insicurezza alimentare. Se si abbraccia uno sguardo di lungo periodo, al di là delle crisi politiche e militari attuali, rapporti multilaterali finalizzati allo sviluppo economico, al progresso e al benessere di tutte le comunità possono essere un potente antidoto ai fenomeni di portata storica in atto. Vanno promosse le collaborazioni fra imprese, con progetti di sviluppo di sistema e un metodo di forte cooperazione, al fine di promuovere la crescita sulla sponda Sud e al tempo stesso aprire nuovi mercati e possibilità di partnership per le aziende in Italia e in Europa. È fondamentale, inoltre, generare valore aggiunto, occupazione, infrastrutture e forniture nei Paesi con cui si collabora. Un ambito nel quale l’Italia ha un ruolo chiave, sia per vicinanza geografica sia per l’approccio con cui operano le nostre imprese, che si distinguono per capacità di creare partenariati positivi a livello locale (il cosiddetto “dual flag”).

        Strategica anche la possibilità di cooperare al fine di applicare tecnologie innovative di sostegno alla transizione green, una sfida fondamentale per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici sui paesi del Mediterraneo. Oltre a creare sviluppo, in questo modo si può aumentare la climate security, mitigando l’effetto amplificatore del riscaldamento globale sui conflitti e migliorando le relazioni internazionali. Altro obiettivo strategico è migliorare la formazione e la produttività, riducendo così disoccupazione e disuguaglianze di genere. Fondamentale in questo senso il ruolo delle università e di tutto il sistema formativo (inclusi ITS e scuole) per attivare una diplomazia culturale nella quale l’Italia può avere un ruolo di primo piano.

        Esistono già progetti importanti di capacity building tra università delle due sponde del Mediterraneo, ma sicuramente collaborare ancora di più per migliorare ed estendere le possibilità di formazione di studenti e docenti rappresenta un obiettivo prioritario. Un progetto di “Università del Mediterraneo”, composta da poli universitari paritari – su discipline quali ad esempio medicina e salute (umana e animale), ingegneria, agraria, turismo – potrebbe costituire elemento di crescita comune, economica e culturale, da perseguire in ottica di scambio e non di brain drain nei confronti della sponda Sud. L’uso delle tecnologie per modalità di apprendimento da remoto, con esami presso sedi diplomatiche, potrebbero ulteriormente facilitare questo tipo di programmi.

        In definitiva, è sempre più evidente che nell’attuale contesto politico ed economico l’Europa continentale si riscopre Europa mediterranea. L’Italia, grazie alla sua posizione strategica ha la possibilità di accrescere la propria funzione – anche alla luce della presidenza del prossimo G7 – non solo per il mantenimento della sicurezza in una regione sempre più instabile, ma anche come piattaforma economica, logistica, diplomatica e culturale, contribuendo a creare quelle condizioni di sviluppo e quei ponti fra economie e società che possono offrire maggiori condizioni di stabilità alla regione. 

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