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Il futuro della democrazia

  • Venezia
  • 5 Ottobre 2024

        Fare il punto sullo stato di salute della democrazia: un obiettivo sfidante e complesso. Il rischio era quello di essere eccessivamente pessimisti, in tempi in cui i regimi autoritari vengono considerati più efficienti e solidi. Se nel complesso è emerso un quadro costruttivo e ricco di positività sono ancora molte le sfide da affrontare, partendo dal fatto – un po’ paradossale – che le democrazie mature sono vittime del proprio successo. Si sono trovate di fronte alla difficoltà di dover gestire a livello nazionale problemi che in realtà hanno origini globali, ad un eccesso di aspettative da parte dei cittadini che si risolve poi in disillusione, al venire meno dell’intermediazione tradizionale dei partiti e dei sindacati. 

        Nei sistemi democratici è cresciuta l’importanza dei problemi identitari in parte collegati alle tendenze demografiche – è stato fatto il caso degli Stati Uniti – che vale sia all’interno, ovvero la crisi della minoranza bianca, sia negli assetti internazionali, ovvero il declino dell’egemonia della potenza democratica dominante. In sintesi, la democrazia deve adattarsi al contesto interno e internazionale dimostrando di saper adoperare la grande capacità di adeguamento continuo che la caratterizza. 

        L’Europa – solido esempio di sistema democratico – ha a che fare con una serie di nuove fragilità. Due guerre ai confini e conseguentemente la questione strategica della sicurezza rendono l’UE al tempo stesso vulnerabile e marginale quanto a capacità di essere influente. A questo va ad aggiungersi l’importanza della crisi demografica – che rende la questione del capitale umano un fattore decisivo per la competitività dell’Unione – e la perdita di competitività economica, in gran parte collegata ai difetti di una governance che non funziona più. 

        Che fare allora? Due le tesi prevalenti: da una parte l’idea che per l’Europa sia decisivo creare uno spazio di sicurezza allargato ad Est, dal momento che comunque la relazione con la Russia rimarrà – anche dopo la conclusione della guerra – di tipo conflittuale. È la tesi dell’All In – tutti dentro nello stesso momento, ovvero una soluzione geopolitica che non considera prioritarie le questioni di merito. Dall’altra si privilegia l’idea che l’Unione Europea debba affrontare le sfide di sicurezza e quelle economiche con un gradualismo istituzionale che permetta l’integrazione verticale delle competenze degli Stati membri e del livello europeo. Una governance multilivello in cui conteranno di più la Commissione e il Parlamento Europeo.  

        La vecchia strada federalista viene considerata superata, mentre più attuale e percorribile si dimostra l’approccio verso un funzionalismo europeo basato in particolare sul rafforzamento dell’area euro, inclusa la BCE come lender of last resort. Continuano a mancare – anche sul fronte economico – alcune importanti forme di integrazione non più procrastinabili: prima fra tutte quella dei servizi. Si è infine messo in guardia da un possibile secondo shock cinese: la soluzione – si è fatto notare – non può essere quella di imporre dazi e tariffe anche perché l’Europa dipende, molto più degli Stati Uniti, da un mercato aperto e non può permettersi una forma di autarchia, ancorché soft. 

        La discussione sugli orizzonti critici delle democrazie ha incrociato l’analisi delle trasformazioni tecnologiche, sociali, economiche e politiche che riguardano il mondo dei media e dell’informazione, anche alla luce degli impatti dell’intelligenza artificiale. Queste evoluzioni stanno trasformando sia l’industria dei media e del giornalismo più tradizionali sia le prassi democratiche e l’esercizio più ampio della partecipazione politica. 

        Si è di fatto entrati in una “era mediale inflattiva”. Sempre di più le big tech si concretizzano come soggetti politici di fatto, se non de iure: le piattaforme – ibridi anomali piattaforma-editore – divengono attori chiave nelle strategie e nelle pratiche di cybersicurezza nazionale e di difesa cibernetica. Per non parlare di un radicale cambio antropologico che si è innescato – in questo nuovo panorama mediale – soprattutto nelle nuove generazioni, oggi forti consumatrici di applicazioni digitali e reti sociali con stili di fruizione e di partecipazione nuovi rispetto al passato. 

        Le nuove tecnologie possono aver creato nuove opportunità e maggior democrazia all’interno del mondo dell’informazione, con la generazione e la circolazione di contenuti a una velocità e su una scala globale mai sperimentate prima. Eppure, non sempre l’efficienza aiuta il cittadino: la tecnologia ha moltiplicato in parallelo i rischi di manipolazione, omologazione, falsificazione, discriminazione, competizione non alla pari. 

        Resta allora l’obiettivo strategico di ricostruire il valore dell’integrità e della qualità dell’informazione. Alle molte criticità evidenziate – polarizzazione, tribalizzazione, manipolazione, disinformazione, monopolizzazione – occorre rispondere, strategicamente, con un necessario (ma tutt’altro che facile) equilibrio dinamico tra contenimento regolatorio, orientamento politico, innovazione imprenditoriale e culturale.

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