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EU-US: What to make of Russia and the competition with China

  • Incontro in modalità digitale
  • 12 Luglio 2022

        La questione che si pone in modo più immediato è l’evoluzione del conflitto militare: appare sempre più probabile una situazione di protratto stallo militare sul territorio ucraino, quasi certamente impossibile da superare fintanto che il regime politico a Mosca resterà quello attuale. E’ altrettanto probabile che Vladimir Putin non abbia veri avversari interni in grado di minacciarlo; verso l’esterno continuerà dunque a creare occasioni di destabilizzazione nelle aree che considera nella sfera d’influenza russa.

        La valutazione prevalente riguardo alla tenuta della coalizione occidentale è che questa sia in grado di resistere, nonostante i costi e le difficoltà. La UE è orientata a lavorare assieme agli USA per preservare le regole fondamentali del sistema internazionale e contenere le ambizioni russe. Alcuni canali di dialogo con la Russia dovranno rimanere aperti e attivi, ma nella sostanza non si intravede alcuno spazio negoziale al momento. Parallelamente, un ingrediente essenziale di una possibile pacificazione è proprio la capacità occidentale di fornire a Kiev valide garanzie di sicurezza che consentano di negoziare con Mosca da una posizione di relativa forza. Si tratterà dunque di un difficile equilibrio da trovare, e l’allargamento (sia della UE che della NATO) sarà un fattore decisivo e di fatto una politica di sicurezza a tutti gli effetti. Dalla prospettiva europea, proprio la trasformazione dell’Ucraina in senso positivo (anche rispetto all’annoso problema della corruzione e dell’inefficienza complessiva dell’apparato istituzionale) sarà un obiettivo centrale per dimostrare la persistente validità del modello democratico-liberale. D’altro canto, puntare soltanto sugli allargamenti per garantire la stabilità in Europa significa rinunciare del tutto a un quadro condiviso come quello dell’OSCE nel quale la Russia (e altri Paesi in una sorta di area grigia) possano considerarsi partecipanti a pieno titolo.

        Guardando al dossier energetico, è ormai prevedibile che si raggiungerà una completa autonomia europea dalle fonti russe nell’arco di due-tre anni, nel più ampio contesto del tentativo della UE di raggiungere la cosiddetta “autonomia strategica” che ovviamente presuppone anche altri elementi (digitali, militari, valutari, etc.). Un serio problema, nel contesto dei continui sforzi verso la transizione sostenibile, è che i prezzi del gas tenderanno ad essere volatili anche in futuro, e dunque le nuove forme di dipendenza europea da altri fornitori stanno creando comunque delle vulnerabilità – sebbene moderate dalla diversificazione, che di per sé offre qualche garanzia.

        Una forma di “guerra fredda” con la Russia, almeno in chiave politico-ideologica, sembra altamente probabile, a fronte della sfida diretta posta da Mosca all’ordine europeo e in termini di principio anche all’ordine globale. Il quesito aperto è se sarà una guerra fredda anche economica e in che misura coinvolgerà la Cina, trasformandosi così in un fenomeno realmente globale. In ogni caso, il peso economico del conflitto ricadrà soprattutto sui Paesi europei, anche in chiave di ricostruzione dell’Ucraina. I relativi costi sono molto significativi, a maggior ragione se si include la gestione del massiccio flusso di rifugiati, e inevitabilmente avranno ripercussioni politiche negli stessi Paesi UE.

        Sullo sfondo, buona parte del mondo resterà in posizione ambigua se non coerentemente neutrale nel contesto di un eventuale confronto globale o macro-regionale in Eurasia. Ciò renderà particolarmente importanti alcuni “swing powers”, a cominciare dall’India per arrivare a un membro della NATO come la Turchia. In tal senso, c’è un rischio nell’impostare il confronto globale in termini di “democrazie contro autocrazie”, quando in realtà un gruppo importanti di Paesi appartiene di fatto a una categoria intermedia e non è disposto ad accettare in pieno il modello occidentale. Un concetto in grado di generare un ampio consenso è quello di sovranità, integrità territoriale e autodeterminazione: è il principio fondamentale in discussione in Ucraina, e può risultare meno controverso del fattore democratico in quanto tale, che è spesso percepito come un prodotto culturale dell’Occidente con contorni non sempre precisi.

        A livello transatlantico, è comunque importante che gli USA comprendano l’importanza di articolare la strategia verso la Cina in coordinamento con gli europei, e che gli europei facciano altrettanto nell’articolare la strategia verso la Russia. In ogni caso, nel gestire un confronto tra modelli politico-economici la comunità transatlantica deve tenere conto dei fattori interni e ricordare che la sicurezza e la capacità di proiezione esterna comincia “in casa”.

        In chiave globale, la Russia si presenta sempre più come junior partner della Cina: ha perso buona parte del soft power di cui disponeva, non dispone di un convincente modello di sviluppo e risulterà comunque gravemente indebolita nel medio e lungo termine. Una partnership più stretta con Pechino è quasi una scelta obbligata: il rapporto bilaterale è piuttosto solido, anche se non si estende per ora a un pieno sostegno cinese, forse proprio in virtù della superiorità di Pechino che di fatto si considera autonoma rispetto a specifiche scelte compiute da Putin, e dunque non vincolata a un alleato problematico. Ciò si aggiunge a una persistente competizione strategica tra i due Paesi, soprattutto in Asia orientale e nella regione siberiana.

        Quanto alle relazioni UE-Cina, la definizione ufficiale fornita da Bruxelles nel 2019 della Cina come al contempo “partner, competitor, strategic rival” richiederà probabilmente una revisione che enfatizzi il terzo di questi termini, cioè la rivalità strategica complessiva, pur senza precludere forme di cooperazione in alcuni settori specifici.

        Nonostante le molte ambiguità rispetto alla guerra russo-ucraina, la Cina sta dimostrandosi molto interessata a rafforzare la sua partecipazione attiva al sistema multilaterale globale, soprattutto in campo finanziario. Ha un peso sostanziale ma continua ad essere scontenta dell’attuale assetto complessivo, ed è tentata di costruire una propria architettura parziale per attirare alcune economie emergenti nella sua orbita, in alternativa all’area tuttora dominata dal dollaro. La “climate finance”, la questione del debito e le questioni valutarie sono settori in cui è comunque possibile ingaggiare Pechino in modo costruttivo, vista la natura pragmatica delle intese da trovare; e potrebbe così ridursi il pericolo di una frammentazione della governance globale sulle sfide dei “global commons”.

        I Paesi occidentali conservano ad oggi una capacità di attrazione e un potere di azione senza pari in campo finanziario, ma dovranno dimostrarsi creativi e flessibili per produrre effetti sistemici positivi. La costante innovazione tecnologica, e la sua rapida applicazione a beni e servizi, è un fattore altrettanto cruciale – come gli eventi bellici in Ucraina stanno dimostrando, pur senza poter impedire la tragedia umana della guerra. Rimane il fatto che la combinazione di potere finanziario e tecnologico è una grande forma di resilienza che gioca tuttora a favore dell’Occidente.