Negli utimi anni la corporate governance delle imprese italiane si è evoluta in modo rapido e incisivo, ma per certi versi disordinato. Un processo partito negli anni novanta, soprattutto sulla scorta delle privatizzazioni intendeva rendere il mercato finanziario più attraente per gli investitori italiani e stranieri fornendo maggiori garanzie a protezione degli azionisti di minoranza. In realtà ha impiantato nel sistema, in modo non coerente, diversi elementi di matrice anglosassone mutuati da contesti che differiscono significativamente dall’Italia per strutture economiche e impianto legale. I successivi interventi normativi, attuati talvolta dietro la spinta del recepimento delle direttive europee o sulla scorta di crolli della fiducia degli investitori a seguito di scandali finanziari nazionali e internazionali, si sono poi concretizzati in ulteriori modifiche e innesti normativi sovente realizzati perdendo di vista l’architettura complessiva del quadro regolamentare.
Il risultato di questa stratificazione normativa è, oggi, un sistema di governo delle società italiane per molti versi faragginoso e ridondante. Sul piano, per esempio, dei controlli interni o delle comunicazioni al mercato per le società quotate, la normativa italiana appare eccessivamente complessa e onerosa tanto da scoraggiare nella scelta di quotarsi in borsa molte imprese, che pure avrebbero i requisiti per approdare sul listino. Diventa, quindi, prioritario e urgente migliorare l’architettura regolamentare con interventi volti a snellire e razionalizzare la normativa esistente, in modo da alleviare i costi gestionali e organizzativi per le imprese garantendo, allo stesso tempo, un’adeguata protezione per gli investitori individuali e istituzionali.
Il cantiere dei lavori non dovrebbe, tuttavia, rinunciare a capitalizzare le lezioni che vengono tanto dai grandi gruppi italiani che competono con successo su scala globale quanto dalle esperienze di altri paesi e dalle best practice internazionali. Elementi su cui svolgere una riflessione sono, fra gli altri, il ruolo e funzionamento del Consiglio di Amministrazione come luogo di indirizzo strategico più che di controllo. In questa prospettiva, assumono un ruolo rilevante, soprattutto, la composizione del Consiglio, la struttura dei comitati che lo compongono, la gestione dei processi chiave di nomina, di definizione della remunerazione e di successione del management. Anche sul fronte dei rapporti con gli azionisti, una particolare ulteriore attenzione dovrebbe essere posta sulla tutela dei diritti delle minoranze e sulla promozione della loro partecipazione alle decisioni assembleari.
Focalizzarsi sugli aspetti giuridici della questione tralasciando la dimensione economica rischia, tuttavia, di essere fuorviante, soprattutto nel caso italiano, dove la prevalenza di imprese di minori dimensioni, quasi sempre a controllo strettamente famigliare, rende taluni strumenti avanzati di corporate governance comunque inadeguati. Sotto questo profilo, gli interventi di policy dovrebbero individuare un ventaglio di modelli e di strumenti che rispondano in modo pragmatico, innovativo ed efficiente alle esigenze delle imprese italiane, sempre con la consapevolezza che su un robusto e flessibile sistema di corporate governance si fonda, in uno scenario globale, sia la competitività del nostro sistema finanziario che delle nostre imprese.