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Attività

Trump and the politics of uncertainty

    Il quadro interno per la Presidenza Trump: opportunità e scommesse difficili
    • Roma
    • 25 Luglio 2017

          Guardando alla Presidenza Trump, i media internazionali – in realtà anche quelli americani – hanno perso di vista alcuni dati di fondo, che hanno a che fare con l’America nel suo complesso e assai meno con la Casa Bianca. Il punto è emerso da una discussione con Walter Russell Mead, noto soprattutto per i suoi studi sulle varie correnti della politica estera americana (in questa chiave Trump è un presidente “jacksoniano”) ma anche attento conoscitore della cultura politica e dei cicli elettorali negli Stati Uniti.

          La tesi di Mead – discussa durante una tavola rotonda in Aspen Italia – è che l’agenda interna del Presidente, nonostante i seri ostacoli politici che sta incontrando nello stesso Partito Repubblicano, ha reali chances di riuscire in alcuni settori-chiave grazie al dinamismo economico del Paese. È certamente questo il caso del moltiplicatore energetico: prezzi bassi, grazie anzitutto alla “shale gas revolution”, che aumentano la produttività dell’intera economia. E potrebbe essere  il caso di una serie di infrastrutture, invecchiate e in pessimo stato di manutenzione. Per quanto il piano di investimenti annunciato da Trump non si sia ancora materializzato, persiste la tendenza a costruire nuovi impianti o addirittura nuovi centri urbani nello spirito tutto americano della frontiera: terra abbondante su cui costruire da zero. Una fase di espansione edilizia potrebbe collegarsi a un’applicazione innovativa di tecnologie ormai mature per il “commuting intelligente”, dalle smart cars fino al telelavoro.

          Un ultimo settore in cui l’agenda di Trump ha buone possibilità di trovare entusiastici partner privati è quella della deregulation, e non soltanto in campo bancario. In sostanza: viste le difficoltà della riforma dell’Obamacare (collegata alle risorse federali disponibili e dunque ai possibili tagli fiscali), un’applicazione top-down dell’agenda economica di Trump comincia ad apparire improbabile. E i mercati, in effetti, iniziano a raffreddarsi, in particolare sulle ipotesi di riforma fiscale. Ma esiste comunque una spinta del paese – bottom up, si direbbe – a progredire nei fatti in alcune delle direzioni indicate da un Presidente che per ora ha promesso molto e conseguito poco, anche per le divisioni interne al Partito Repubblicano.

          Naturalmente, non è affatto detto che le cose, in questo schema ipotetico, vadano per il verso giusto; ma queste aree di azione sono adatte a un approccio pragmatico anche in un clima ideologicamente polarizzato. E sono in grado di raccogliere consenso anche tra quegli elettori che per ora sembrano avere abbandonato Trump, almeno a giudicare dai sondaggi d’opinione. In questa prospettiva, diventa pensabile un successo almeno parziale del “populismo industriale” di Donald Trump: un Presidente che, come noto, vuole riportare negli USA alcuni dei posti di lavoro manifatturieri persi negli anni di esplosione dell’export cinese. L’operazione non passa soltanto, o forse quasi per nulla, dall’imposizione di tariffe o dalla rinegoziazione del NAFTA, dopo l’abbandono della Trans Pacific Partnership; passa in larga misura dalla vitalità del sistema economico americano, che va solo incoraggiata e accompagnata.

          Rimane un caveat certamente non secondario: le varie controversie che circondano la Casa Bianca stanno determinando un rischio politico che rischia di danneggiare fortemente anche una linea d’azione semplice ma decisa come quella delineata. Qui, il fattore da tenere presente è il timing: rispetto alle molte semplificazioni che si leggono in materia, Trump non sarà in ogni caso esposto a procedimenti di impeachment prima del 2019. Poiché procedimenti del genere sono per loro natura politici, prima che giuridici, la performance economica determinerà largamente le decisioni di un Partito Repubblicano che dopo le elezioni di mezzo termine, nel novembre 2018, avrà perso prevedibilmente parecchi seggi alla Camera ma conserverà un’esigua maggioranza al Senato.

          Intanto, anche le sfide internazionali stanno diventando in qualche modo parte dell’agenda interna: così è senza dubbio per la Cina, per il surplus commerciale tedesco, per il rapporto simbiotico eppure contrastato con il Messico e certamente per la relazione con la Russia – settore “radioattivo” per Trump e per il suo entourage e in cui il Congresso, con la decisione presa in luglio, ha chiaramente scavalcato il Presidente in materia di sanzioni.

          Se Trump sembra avere costruito la propria politica estera sulla imprevedibilità – in una fase storica in cui le alleanze di un tempo stanno diventando allineamenti mobili – ha anche bisogno di gestire con maggiore continuità i rapporti bilaterali, sia con gli avversari che coi partner: altrimenti, la distinzione fra le due categorie di Paesi tenderà a sfumare e gli Stati Uniti rischieranno di trovarsi in una posizione di “America-only”, invece che di “America-first”. Un eccesso di ripiegamento interno, in altri termini, rischia di pregiudicare gli spazi per successi possibili sul piano domestico. Ed è su questi, in ultima analisi, che si gioca la stessa tenuta del Partito Repubblicano: nei prossimi mesi, i membri del Congresso e i governatori decideranno se e quanto scommettere ancora sul “loro” Presidente.

           

          Pubblicato anche su Aspenia online il 26 luglio 2017