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Attività

(R)evolutions in the digital ecosystem: rethinking business, consumers and government

    • Venezia
    • 12 Luglio 2013

          The fast will eat the slow. É la dura legge dell’ecosistema digitale di oggi e del futuro. Ma per essere veloci è necessario contare su infrastrutture tecnologicamente avanzate ed in grado di sostenere la competizione internazionale. E le maggiori aziende continuano ad investire in tecnologia, anche in momenti di crisi come quello attuale. Perché è la competitività la forza trainante del sistema: non basta migliorare la realtà educativa e velocizzare la burocrazia. Le aziende fanno la loro parte: anche i policy makers sono chiamati a prendere decisioni per offrire un ambito regolatorio più equilibrato. Il bilancio europeo dovrebbe  – si è detto – sostenere meno l’agricoltura e destinare più risorse allo sviluppo del settore digitale.

          Non tutti però  sostengono la necessità di un intervento governativo soprattutto dal lato dell’investimento pubblico: negli Stati Uniti, ad esempio, lo stanziamento di ben 7 miliardi di dollari non ha dato i risultati sperati. Diverso il caso inglese: è stata la stessa BBC a diventare traino dell’evoluzione verso le nuove realtà digitali, in particolare verso i social media. L’agenda digitale europea è una buona base di partenza, ma è necessario intanto applicarla e poi riuscire a guardare oltre. L’Italia è molto bassa nel ranking dei paesi “digitalizzati” – venticinquesima su ventisette – e sconta ancora molti ritardi. Non su tutto: ad esempio su prodotti innovativi, come tablet e smartphone, l’Italia è al passo con gli altri Paesi. Si è chiesto da parte di alcuni un intervento del Governo che promuova la competitività delle infrastrutture per migliorare la qualità dei servizi e che faciliti la collaborazione tra tutti gli attori dell’ecosistema digitale. Evitando – non solo in Italia  ma anche in altri Paesi industrializzati – un’eccessiva protezione dell’incumbent.

          Se è vero che le infrastrutture sono ancora driver di crescita non bisogna dimenticare che più il sistema è interconnesso e più si rivela fragile, e che la “speed for news “ è fonte di instabilità. Come lo è il rapporto tra Internet e sicurezza: non è solo un dibattito che occupa attualmente i media del mondo intero – il caso Snowden – ma è un binomio inscindibile da tempo, con molti problemi aperti e qualche certezza in più. L’11 settembre impone agli americani la sicurezza come priorità e lo stesso Presidente Obama di fronte ad una lista di possibili cento terroristi non ne può tralasciare neanche uno. In questo caso la sicurezza nazionale vince sulla privacy. Secondo alcuni si è di fronte ad una sorta di circolo vizioso tra quello che lo stato sa di ogni suo cittadino e come si debba salvaguardare la privacy. Si è discusso molto sul case history della polizia di Chicago che, attraverso le nuove tecnologie, utilizza una mappatura della città in grado di localizzare la ricorrenza del crimine in determinati quartieri e, di conseguenza, posizionare le proprie forze con funzione preventiva. Può anche funzionare con la piccola delinquenza locale e occasionale – si è osservato – ma potrebbe essere meno efficace contro la criminalità organizzata. 

          Le moderne tecnologie – e il sistema cloud innanzi tutto – pongono un’enorme questione  di conservazione e categorizzazione di dati. Non tanto da un punto di vista economico, quanto sul lato della gestione e della sicurezza. La verità è  – ed è vero anche per le informazioni più sensibili – che esiste ormai un’immensa quantità di informazione destrutturata: non è ancora possibile analizzare e catalogare il tutto. È, quindi, urgente mettere a punto sistemi matematici e metodiche che consentano un’analisi intelligente: non poche volte è, infatti, accaduto che siano state prese decisioni improprie a causa di una mancata o errata comprensione dei dati.

          Senza nulla togliere all’importanza delle infrastrutture come driver di crescita, è opinione diffusa che oggi l’ecosistema digitale sia trainato essenzialmente dai contenuti. Secondo dati recenti, il 65% degli utenti cerca su internet video. Di conseguenza il ruolo chiave è stato ormai assunto dall’entertainment. Come strategici sono oggi la distribuzione e i device sui cui questa distribuzione si incanala. Si è ricordato che ,in Italia, in media un utente passa quattro ore al giorno davanti ad uno schermo, qualunque esso sia. Non solo: spesso mentre si guarda la tv viene contemporaneamente usato un altro dispositivo. La nuova frontiera dei contenuti è “mobile”: e, sostanzialmente, oggi tutti possono fornire contenuti. Le prime immagini dello tsunami in Giappone, la folla di Occupy Wall Street, il video più coraggioso sulla situazione siriana: sono tutti contenuti multimediali forniti da “citizen journalists”. Il cittadino è sempre più uno story teller. Questa, e non solo, è una delle ragioni della crisi del sistema dei giornali e delle agenzie di stampa: molti soprattutto negli Stai Uniti sono stati i casi eclatanti di chiusura di testate storiche. Al tempo stesso, però, la crisi ha stimolato le grandi media company: non a caso le innovazioni maggiori vengono dal mondo della televisione. E i mezzi tradizionali – con qualche eccezione – sembrano non essere più sotto attacco , ma sono tornati a competere e a godere di buona salute. Perché le varie piattaforme sono diventate un’opportunità, i costi di produzioni si sono ridotti, il cloud permette di lavorare in pool. Ancora una volta è la competitività motore della creatività, e fonte di reazioni di successo ai peggiori momenti di crisi.

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