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Attività

Media and politics in the digital age: participation, transparency, and responsibility

    • Venezia
    • 9 Maggio 2014

          Un’idea è generalmente condivisa: i social media non sono né buoni né cattivi. È piuttosto in discussione come i social media interagiscano con la democrazia, come i governi reagiscano al crescente potere dei nuovi strumenti della comunicazione. Non vi è dubbio che le proteste di popolo – come quelle scoppiate in Nord-Africa  –  partono e si sviluppano ormai in rete. Ma non sempre internet è sufficiente a rendere stabile il cambiamento. E, peraltro, le rivolte scoppiano essenzialmente per motivi politici ed economici: corruzione, crisi economica, disperazione, disoccupazione e mancanza di fiducia sono il detonatore che i social network possono sì amplificare e organizzare, ma non certo far innescare di per sé. Alla fine, come è successo in Egitto, è spesso l’esercito a vincere.

          Altro mito da sfatare è quello dell’anarchia e della democraticità assoluta di internet. In realtà non c’è anarchia perché controllo e censura come dimostrano Cina e Iran sono  largamente esercitati. I cittadini sono monitorati e scontano una sempre crescente vulnerabilità: se mai esisterà una nuova guerra fredda la si potrà combattere tra un sistema di rete libero e uno pesantemente controllato. E questo accade non solo in paesi di scarsa democrazia, ma anche nel cuore dell’Occidente: il caso Snowden  ne è solo un esempio.

          Proprio in Occidente, infatti, il rapporto tra internet e democrazia ha vissuto e vive fasi alterne. E, in ogni caso, esiste un divario da colmare tra la partecipazione digitale e la politica. Non è la rete spesso a prendere decisioni politiche: è un errore – o meglio un‘illusione – ritenere che basti un click per aver partecipato ad una decisione. In realtà non si tratta di partecipazione, ma di espressione di una visione che domani potrebbe essere diversa.  Anche i governi oggi lo sanno. E imparano a tenerne conto.

          Eppure i governi hanno ancora grande difficoltà a trattare con i social media. Non rispondono velocemente né su Facebook né su Twitter. Il sistema politico contemporaneo non è concepito per dare risposte veloci, ma questo non significa che esista un contrasto diretto tra social network e democrazia. Tutt’altro. È però anche vero che internet non può risolvere politicamente i problemi: si prenda ad esempio la grave questione del climate change che è nata senza dubbio dentro la comunità scientifica, si è poi allargata su internet e ha, quindi, invaso i sociale network. La risposta delle istituzioni è però stata debole e lenta e non ha prodotto finora soluzioni politiche accettabili.

          Per essere efficaci è anche necessario capire il linguaggio del nuovo mondo. Si prenda il caso del ruolo di internet e social media nell’attuale campagna elettorale europea: la classe dirigente deve cambiare la narrativa sull’Europa, altrimenti il rischio è che anche attraverso i social media si scateni una richiesta di referendum, un rischio oggi troppo grande. Va definito un progetto comune tra cittadini e istituzioni, una nuova relazione con l’Europa al centro.

          A seguito del “big bang “ della rivoluzione di internet anche il mestiere professionale del giornalista e dell’operatore della comunicazione è radicalmente cambiato. Tutti gli old media si sono adattati alla nuova realtà digitale e chi non l’ha fatto ne subisce pesantemente le conseguenze – come ad esempio il glorioso Washington Post comprato a prezzi vantaggiosi da una società di Amazon.  Tra quelli che hanno retto – perché sono riusciti ad interpretare la sfida  – il New York Times che molto ha puntato sui video digitali e The Guardian, che si è trasformato in una digital company. Anche televisioni globali come CNN e BBC hanno affrontato e vinto la sfida del digitale.

          Tutti hanno comunque puntato sulla qualità dell’informazione, sulla varietà e qualità dei contenuti e sul controllo delle notizie. Accuratezza e metodo sono ancora una volta le carte vincenti richieste anche nel nuovo mondo ai professionisti della comunicazione, in una sfida continua a blogger e siti online affermati, ma di cui non sempre il pubblico si fida. E non è detto che per gli old media sia tutto perduto: chi è stato in grado di reinventare il proprio modello di business è riuscito anche ad acquisire società di new media e a restare efficacemente sul mercato.