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Attività

La politica estera come leva di sviluppo economico

    Un'ora con Luigi Di Maio, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale
    • Incontro in modalità digitale
    • 8 Luglio 2021

          Il contesto internazionale si caratterizza per la forte interdipendenza tra politica estera e priorità interne, in particolare come leva per la crescita e lo sviluppo. La pandemia ha confermato una volta di più l’esigenza di un’ampia cooperazione multilaterale nell’ottica di “ricostruire meglio”, in termini di transizione sostenibile (sia in termini di produzione che di consumo) ma anche in chiave di equità e di gestione di tensioni e conflitti su scala regionale e globale.

          Le classiche sfere della proiezione esterna dell’Italia restano valide: una sfera multilaterale globale; l’Unione Europea; il Mediterraneo allargato. I tre livelli sotto tutti fondamentali anche per promuovere la competitività del sistema-Paese e delle imprese nazionali.

          Al livello multilaterale più ampio, la presidenza italiana del G20 è fortemente focalizzata sulla transizione energetica e i cambiamenti climatici. Anche in ambito NATO è stata del resto riconosciuta la priorità del cambiamento climatico come vera questione di sicurezza. La COP26 presenta molti elementi problematici, ed è probabile che i Paesi più avanzati debbano comunque assumersi delle responsabilità dirette per incentivare le grandi economie emergenti a collaborare fattivamente, salvaguardando al contempo le loro prospettive di crescita.

          Al livello europeo, il nuovo impianto delle regole di bilancio e il volume di investimenti ora disponibili offrono grandi opportunità di rilancio e per le “transizioni gemelle” – quella verde e quella digitale. L’Italia si inserisce, dunque, in un contesto europeo che punta all’autonomia strategica e alla resilienza, rendendo più flessibili gli strumenti finora attivati da Bruxelles. Come è del tutto evidente nel settore del turismo, senza un forte coordinamento europeo non è comunque possibile perseguire obiettivi di crescita solida ed equilibrata. In senso più ampio, si sta vivendo una fase di ripensamento delle politiche e degli stessi assetti europei, in parte per ragioni contingenti legate soprattutto ai cicli elettorali in Germania e Francia: la politica estera italiana ha di fronte un importante spazio di manovra per orientare il dibattito.

          In chiave mediterranea, l’approccio italiano è quello di una ripresa inclusiva della regione, guardando ai veri e propri “beni comuni del Mediterraneo” – risorse naturali, commercio, scambi culturali – che possono essere valorizzati soltanto in forma cooperativa. Oltre alla Libia (che conserva la sua centralità tra gli interessi nazionali italiani) sono in atto iniziative anche verso vari altri Paesi della sponda Sud per rilanciare un dialogo bilaterale. È essenziale sfruttare al meglio le complementarietà tra le diverse aree che si affacciano sul Mediterraneo, con un’ulteriore proiezione verso il Sahel e l’Africa subsahariana.

          La promozione delle imprese italiane passa inevitabilmente per l’innovazione e la capacità di andare sui mercati globali (ricordando che oltre il 30% del PIL si deve all’export). L’internazionalizzazione del sistema imprenditoriale – la cui competenza spetta ora al Ministero degli Affari Esteri, con una migliore prospettiva di efficienza – deve anche favorire l’attrazione di investimenti esteri in una fase delicata di accorciamento delle filiere produttive.

          In questo quadro, la peculiarità del sistema-Paese è la preponderanza delle piccole e medie imprese, che naturalmente hanno esigenze specifiche in termini di rischio quando si proiettano sul piano internazionale e, dunque, di supporto da parte della diplomazia e del sistema del credito. Guardando alla capacità di attirare capitali, è fondamentale facilitare l’accesso, garantire visibilità alle filiere italiane, e migliorare la situazione della rete infrastrutturale.

          La Cina pone una sfida senza precedenti per l’Italia e per l’intero occidente, con il tentativo necessario di combinare fermezza sui valori (e su alcune questioni geopolitiche) e cooperazione su temi globali come il cambiamento climatico. La questione cinese è indubbiamente delicata sia in ottica transatlantica sia in ottica europea dove peraltro esiste un elemento di competizione anche intra-europea, in particolare alla luce dell’attivismo commerciale tedesco e francese.

          Ci sono notevoli opportunità nel settore energetico – direttamente legato alla transizione verde oltre che a tutte le filiere produttive – ma anche forti preoccupazioni per le nuove regole che al momento rischiano di penalizzare in chiave competitiva le aziende italiane ed europee sui mercati globali: l’attuale aumento dei prezzi dei combustibili fossili conferma le difficoltà, almeno temporanee, della transizione verso le rinnovabili. In parallelo, vi sono concreti vantaggi per tutti i Paesi coinvolti nell’attivazione di nuove reti energetiche e infrastrutturali nella regione mediterranea, che, per la sua collocazione geografica, può avere un ruolo ancor più strategico di quello attuale.

          In questo come in altri settori, le partnership pubblico-privato saranno decisive per innescare processi di innovazione sostenibile, e in tal senso diventa urgente rendere più efficiente la macchina amministrativa a livello nazionale: è emblematico il caso della produzione elettrica, che per effetto delle difficoltà autorizzative non riesce ancora a rispondere alle opportunità dei bandi per nuove installazioni. Ciò dimostra come l’intera transizione ecologica debba essere perseguita in modo sistemico e con scadenze realistiche, per evitare che costituisca di fatto uno shock negativo per il tessuto economico: l’efficientamento del sistema-Paese è necessario proprio per cogliere le nuove opportunità.