Nel mondo phygital l’impresa è costantemente al centro di un sistema imperniato su una comunità di persone: accade nel business come nel marketing e nella comunicazione. Emergono nuove priorità: conquistare l’attenzione, rafforzare l’autorevolezza, diffondere fiducia per mantenere i clienti. E, soprattutto, mettere al centro identità aziendale e accountability, ovvero il riscontro tra ciò che si dice e ciò che si fa.
È cambiato, con l’avvento della rete e dei social networks, il rapporto con il consumatore: se resta centrale il ruolo del trade, quest’ultimo viene affiancato da un crescente rapporto diretto con il consumatore dove cresce anche l’importanza dell’influencer. Nella valorizzazione del brand cambia la velocità del percepito e, di conseguenza, l’azienda deve cambiare la velocità di percezione sia essa negativa o positiva: il rapporto con il consumatore cambia in velocità e dato che la domanda è sempre più informata oppure disinformata ad arte impatta sulla volubilità del consumatore. Secondo molti la rete e i social networks restano ancora una specie di “Far West”, dove si trova tutto e il contrario di tutto. E crescono fenomeni come gli haters e le fake news che vanno fortemente contrastati anche con regolamentazioni ad hoc.
In questo quadro muta il processo di costruzione del brand e le aziende tendono sempre più ad unire la comunicazione interna e quella esterna: il brand è un unicum e tutti devono essere coinvolti. Tv e social networks sono i maggiori destinatari degli investimenti pubblicitari: secondo un report dell’UPA su dati Nielsen nel periodo gennaio-marzo 2021 sono stati investiti 737 milioni di euro su social networks (38%) e 896 milioni di euro (46 %) sulla televisione.
La televisione non è più la regina degli investimenti, anche se mantiene una quota considerevole. Con buone prospettive per il futuro: infatti, la televisione a schermo largo sarà ancora privilegiata per la sua capacità narrativa. È pur vero che ormai le campagne si pensano essenzialmente per i social e sui social. Se la televisione crea un “effetto bar” i social networks – FB e Google in particolare – inducono più un dibattito con un forte senso di comunità. E la pubblicità questo lo sa perfettamente e sceglie di andare di più su Google e Facebook. La dieta mediale del futuro resterà, comunque in equilibrio: un media mix bilanciato.
Nell’economia post-pandemia cresce l’impegno per elaborare una politica a vantaggio della classe media: operazione che ha come leadership quella americana e, in particolare, l’agenda economica del Presidente Joe Biden. Proprio la digital economy aveva assestato colpi duri alla classe media: automazione, just in time, delocalizzazione avevano creato un diffuso malcontento cui i social media hanno dato voce e che hanno amplificato. Nel lungo periodo, in America ma anche altrove, è necessaria una regolamentazione dei social networks. Ma resta il fatto che democratici e repubblicani hanno due visioni del mondo molto diverse e divisive in termini di regole, di antitrust e tassazione delle grandi piattaforme: sarà, dunque, difficile trovare un accordo, a meno di non creare un corridoio ancorché stretto che possa essere il veicolo di un atteggiamento maggiormente cooperativo.
Al centro del dibattito una domanda di non facile risposta: i social networks sono una minaccia per la democrazia o uno strumento innovativo per la stabilità della democrazia stessa? È testimoniata ormai da tempo l’intrusione di fattori esterni nelle campagne elettorali: fake news, manipolazione dei video degli avversari, familiarità con la disinformazione. Se i social network sono portatori di un messaggio senza filtri che raggiunge i singoli votanti, sono dunque uno strumento potente in mano ad un candidato, sono poi anche a buon mercato, avvantaggiano il fund raising, risultando così veicoli di una legittimità addizionale per la credibilità del candidato. E, infine, sono creatori di contenuti che vengono resi subito disponibili e saccheggiati da altri media.
Inoltre, i social networks contribuiscono ad aumentare la partecipazione al processo democratico, a rafforzare il dialogo e ad aggiungere nuove voci alla campagna elettorale. Donald Trump ha saputo utilizzare i social networks, ha disintermediato in campagna elettorale il contatto con i media tradizionali e ha presentato la sua vittoria come quella di un outsider voluto dal popolo. Da Presidente ha usato moltissimo i social e ha cambiato la comunicazione politica. Dopo l’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 Facebook e Twitter hanno cancellato l’account di Donald Trump, una decisione controversa che ha sollevato un acceso dibattito non solo negli Stati Uniti.
Per i sistemi democratici occidentali resta strategico il problema delle regole e a dettarle non possono essere le aziende, o meglio un gruppo di grandi piattaforme monopoliste. È senza dubbio vero che le piattaforme sono diventate un Public Forum e un marketplace of ideas: a fronte di posizioni private eccessivamente monopolistiche deve entrare – ed è sempre entrata in campo – la politica a fissare le dovute regole. La transizione in atto porterà in un mondo diverso dal passato. Ma il fenomeno è positivo e bisogna essere ottimisti: democrazia e politica non sono mai morte per eccesso di novità di idee se queste ultime si associano con la libertà.