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Attività

Il potere della resilienza in un mondo che cambia

    XII Conferenza della Comunità dei Talenti italiani all'estero
    • Incontro in modalità digitale
    • 20 Luglio 2020

          La globalizzazione, le nuove tecnologie, il mondo dei social media, le migrazioni, le tensioni razziali, ed ora la pandemia di Covid-19 hanno completamente trasformato il volto della società e stanno rivoluzionando il modo di fare business di ogni realtà, grande o piccola. La pandemia, in particolare, ha fatto emergere molte fragilità pregresse mettendo alla prova le capacità di resilienza dei nostri sistemi, non solo dal punto di vista finanziario, ma nel senso più ampio che include salute pubblica, ambiente, tutela del lavoro ed equilibrio sociale.

          Le reazioni messe in campo sono state molto diverse nei vari Paesi del mondo, per ragioni culturali, storiche, organizzative e politiche. Certamente interessante il caso di alcuni Paesi asiatici, come Taiwan ad esempio, che ha saputo contenere efficacemente la diffusione dei contagi senza mai chiudere le proprie fabbriche. Tuttavia, è ancora presto per valutare l’efficacia delle varie misure e, quindi, trarre lezioni che possano essere trasferite anche ad altri Paesi. È vero, d’altra parte, che alcune caratteristiche intrinseche dei vari sistemi nazionali, come ad esempio la disciplina e l’organizzazione nel caso dei Paesi asiatici, sono risultati elementi chiave.

          Guardando più direttamente al mondo delle imprese, è emerso chiaramente che queste devono abituarsi a convivere con l’incertezza. È, dunque, diventato imperativo investire in piani di resilienza a lungo termine. Ciò influisce sulle logiche stesse alla base della competizione tra aziende: mentre prima era premiata l’efficienza nel breve termine, ora è vincente l’efficienza nel medio-lungo termine, che si ottiene con la ridondanza. Ecco allora nascere una nuova direzione di sviluppo basata sugli investimenti in piani di resilienza, che, se opportunamente perseguita, potrà generare occupazione, profitti e crescita. In parallelo dovrebbero mutare anche le logiche di valutazione delle imprese sui mercati finanziari, andando a premiare la capacità di conseguire risultati su orizzonti più lunghi.

          Se fino ad ora il management era valutato in base alla capacità di definire piani di risk management accurati ed efficaci, ora viene premiata soprattutto l’agilità, la capacità di reagire rapidamente agli shock improvvisi. Ciò richiede senza dubbio una forte attenzione al tema della corporate social responsibility, ma anche un nuovo stile di leadership. Chiamati a scegliere tra la tutela della salute dei dipendenti e il profitto, imprenditori e manager devono saper curare gli interessi di tutti gli stakeholders, senza naturalmente perdere di vista il quadro generale.

          In questo scenario globale, iper-competitivo, iper-digitalizzato ed iper-accelerato, il baricentro rimane comunque l’essere umano; tecnologia, marketing e finanza sono amplificatori o abilitatori, ma non possono essere più il fine o la priorità: tutto deve ruotare intorno ai sogni e ai bisogni delle persone. Ed ecco che ai leader sono richieste caratteristiche ed abilità molteplici: devono essere grandi visionari, ma anche meticolosi esecutori, devono saper amalgamare dati e intuizione, e devono saper dimostrare empatia, rispetto per gli altri, ottimismo e agilità nelle decisioni e, naturalmente, resilienza.

          Nel campo dell’istruzione e della ricerca scientifica emerge chiaramente che le capacità di collaborazione e di condivisione a livello globale di strumenti e risorse sta favorendo in maniera significativa la resilienza del sistema. Oggi i sistemi universitari e di ricerca locali che meglio sono riusciti a rispondere alle sfide della crisi sono quelli che più si sono aperti allo scambio globale. A livello più generale, ciò è vero per tutti i sistemi nel momento in cui si confrontano con una situazione di stress: le risorse necessarie si trovano sempre all’esterno, raramente all’interno.

          Tutti questi elementi spingono, quindi, ad una considerazione più generale sulle due principali direzioni di pensiero circa la reazione alla crisi attuale: da un lato, l’invito alla chiusura – dall’autarchia sulle supply chain alla diffidenza verso culture e Paesi lontani – dall’altro, una spinta ad affrontare i problemi globalmente, ad esempio condividendo il sapere scientifico e i dati. È evidente che la soluzione alla crisi pandemica verrà dalla scienza, ma è anche vero che il successo nell’applicazione di tale soluzione deriverà dalla collaborazione internazionale tra Paesi. Più di tutto sarà, quindi, importante che la politica sappia definire regole adeguate per gestire il delicato equilibrio tra la tutela degli interessi nazionali e lo stimolo agli scambi e alla solidarietà globale.

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