Vai al contenuto
Attività

Hubs and networks in the Mediterranean basin: A path to sustainable growth

    • Palermo
    • 18 Marzo 2016

          I grandi flussi commerciali e finanziari nella regione del Mediterraneo e Medio oriente, da cui dipendono le concrete opportunità di rilancio economico, poggiano soprattutto sulle nuove reti energetiche (sia da fonti convenzionali che rinnovabili) e sul raddoppio del Canale di Suez, oltre al persistente ruolo dei grandi investitori del Golfo (in particolare attraverso i fondi sovrani). Gli ostacoli alla crescita sono certamente significativi, a cominciare dalla volatilità’ dei prezzi delle commodity che si intreccia con una maggiore prudenza degli investitori rispetto al passato anche recente; ci sono poi le incertezze del quadro politico e di sicurezza, che però’ non bloccano necessariamente le dinamiche degli investimenti in alcuni settori, come quello energetico.

          La situazione della Libia, che ha gravi ripercussioni sui suoi vicini, sta creando una nuova spaccatura nelle interconnessioni “Sud-Sud” sulla sponda meridionale del Mediterraneo, che rischia di aggravare la preesistente frammentazione della regione. C’è  tuttavia anche un grande potenziale di integrazione, soprattutto energetica e nelle telecomunicazioni, che potrebbe consentire di superare gli attuali colli di bottiglia. Le stesse spinte demografiche sull’intera sponda meridionale del Mediterraneo, che tendiamo oggi a vedere come un motivo di grave preoccupazione nel contesto dei flussi migratori, creano in realtà le condizioni di fondo per un forte interscambio commerciale se si innescano processi di crescita.

          Guardando specificamente alla zona del Canale di Suez, la regolamentazione speciale di cui beneficia ne fa un caso di grande interesse anche per altri Paesi: resta da verificare quanto i vantaggi commerciali e finanziari saranno diffusi sia nel resto dell’economia nazionale sia nella regione in senso più’ ampio. Un modello di sviluppo sostenibile richiede senza dubbio una diffusione dei profitti che possa fare da volano per la crescita economica, l’innovazione e nel tempo un vero progresso sociale. Ciò vale per tutti i Paesi della regione che dispongono di abbondanti risorse naturali, i quali condividono uno scarso dinamismo economico. In tale contesto, gli “hub” – città o zone produttive speciali – possono svolgere un importante ruolo di traino e di collegamento con l’economia globale.

          Nell’attuale congiuntura internazionale, i maggiori investitori sono particolarmente selettivi nel definire le priorità’ rispetto a grandi progetti infrastrutturali;  è dunque ancora più’ decisivo creare condizioni propizie per il business, con una efficace partnership tra governi, organismi internazionali e di garanzia, e business privato. Pur partendo da progetti specifici – anche vista la sfiducia diffusa per più ambiziosi piano macro-regionali – è necessario ricercare sinergie tra progetti locali e grandi interconnessioni (energia, comunicazioni, catene di distribuzione, risorse idriche e settore agroalimentare etc.).

          L’innovazione tecnologica è un grande moltiplicatore di crescita e potenzialmente di sviluppo sostenibile, anche nell’ottica della qualità della vita nei maggiori agglomerati urbani che stanno subendo tumultuosi processi di modernizzazione. Le nuove tecnologie stanno rendendo l’innovazione più’ agevole e la fruizione per i consumatori più’ rapida; si tratta di fenomeni sempre più’ decentrati e per molti versi “democratici”. I nuovi modelli di produzione manifatturiera (in particolare il “3Dprinting“) possono inoltre evitare i problemi legati tradizionalmente alle strutture produttive e industriali inquinanti e invasive, limitandone l’impatto negativo.

          Per sfruttare appieno queste opportunità’ è comunque necessario accedere alle reti globali di know how e dunque adottare un approccio aperto sul piano internazionale: in tal senso, l’apertura culturale e l’adozione di strumenti digitali dovrebbero procedere di pari passo e rinforzarsi a vicenda.

          Quanto alle fonti di finanziamento per la modernizzazione del tessuto imprenditoriale, il settore bancario non è sempre pronto a puntare sull’innovazione, e sarebbe importante un maggiore contributo del venture capital per favorire la crescita di progetti innovativi (a cominciare dal livello delle startup).

          I vari conflitti in corso nella regione mediorientale – in certa misura connessi tra loro – influenzano inevitabilmente il contesto economico e creano un clima di grande incertezza anche nei Paesi non direttamente colpiti da crisi acute. La guerra civile siriana, in particolare (legata in modo strettissimo alle vicende irachene e ormai anche all’evoluzione della Turchia), vede coinvolti attori locali, regionali (tradizionali e non statuali) ma anche potenze esterne (comunque influenti, se non altro perché in grado di esercitare una sorta di potere di veto su possibili esiti negoziali). Attorno all’epicentro siriano di crisi, nuovi equilibri regionali devono ancora emergere con chiarezza, e ad oggi molti governi tendono a interpretare la grave instabilità dei loro vicini come un’opportunità’ da sfruttare a proprio vantaggio, alimentando un circolo vizioso di conflitti diretti o “per procura”.

          Per porre fine alle crisi più acute (tra le quali figura anche la Libia) sono indispensabili sforzi congiunti di molti attori internazionali, sia per una stabilizzazione immediata che risponda alle esigenze umanitarie, sia per l’attivazione di processi graduali di inclusione e ricostruzione politica. Una grande sfida è quella della costruzione di strutture statuali più efficienti e legittime, che riguarda praticamente l’intero mondo arabo. Nei casi di Siria, Iraq, e in certa misura Libia, ciò implica una serie di questioni molto delicate: da possibili cambiamenti dei confini fino al rispetto di minoranze o gruppi con specifiche identità culturali (che ormai sono politicamente mobilitati e spesso armati). In senso più ampio, gli assetti interni di quasi tutti gli stati della regione – anche quelli con istituzioni più’ solide e sviluppate – sono in una fase di aggiustamento a fronte di nuove spinte sociali ed economiche.

          Anche i modelli di governance che molti ritengono più validi quantomeno per i loro successi economici, come quelli delle monarchie del Golfo, sono ben difficilmente replicabili – alla luce della disponibilità di risorse che rende possibile la relativa stabilità’ politica e sociale di quei Paesi. Gli assetti istituzionali vanno necessariamente adattati alle realtà storiche e locali, ma in ogni caso il “capitale sociale e istituzionale” è una componente decisiva sia della stabilità politico-sociale che della crescita economica.

          Guardando in particolare alla minaccia posta da ISIS, questo gruppo, con la sua struttura ormai in parte decentrata, adotta un linguaggio “globalizzato” – più’ che realmente arabo o tradizionalmente islamico – e ricerca un’audience globale con i suoi messaggi. Di fronte a comportamenti e forme di comunicazione che celebrano apertamente la violenza, il dilemma è’ se “tollerare oppure no l’intolleranza” più’ radicale nella discussione pubblica: un problema che i media devono gestire con grande cautela e buon senso.

          Per comprendere la reazione delle opinioni pubbliche arabe a questi fenomeni (e il relativo successo di ISIS nel reclutamento), si deve ricordare cosa queste chiedono ai propri governi: in estrema sintesi, in cambio di legittimazione politica si pretende una capacità’ di produrre risultati tangibili in campo sociale ed economico. Il concetto stesso di democrazia, anche a causa degli eventi successivi alle “primavere arabe”, ha acquisito dei connotati non positivi per larghe fasce di popolazioni arabe, e va ora collegato in modo stretto alla giustizia sociale per non perdere ulteriormente terreno rispetto alla retorica nichilista dei movimenti radicali.

          ISIS ha anche riportato alla luce una questione teologica e storica irrisolta, cioè una specifica visione religiosa della politica (incarnata dal Califfato e dallo “Stato islamico”), che si intreccia con una crisi in corso in molte parti del mondo: la crisi del rapporto tra le autorità’ politiche, l’economia e la società’ civile (rispetto sia a diritti e doveri individuali che collettivi). ISIS non potrebbe mai lanciare una sfida all’ordine regionale se vi fossero solide e pienamente legittime strutture di governo: non va dimenticato questo movimento ha cavalcato una lunga onda di malcontento, instabilità’ e collasso statuale.

          A fronte di queste minacce, ci sono realmente obiettivi condivisi sui quali costruire una piattaforma comune: sviluppo socio-economico, sicurezza energetica, sostenibilità’ ambientale. Sono obiettivi che vanno perseguiti necessariamente in modo cooperativo e su larga scala, e che dunque sintetizzano sia valori universali che interessi concreti. L’Europa – e l’Italia in particolare, soprattutto verso Paesi come Libia e Tunisia – possono svolgere un ruolo costruttivo a condizione di riconoscere anzitutto le specificità dei diversi Paesi della sponda Sud, facendo tesoro delle esperienze anche negative del passato nell’ambito della cooperazione economica e dei rapporti diplomatici.

            Contenuti correlati
          • Giulio Tremonti, Giovanni Puglisi e Marta Dassù
          • Hubs and networks in the Mediterranean basin: A path to sustainable growth, Palermo, 18-19 marzo 2016
          • Giovanni Puglisi e Giulio Tremonti