Negli ultimi anni il concetto di etica sembra sia diventato protagonista del dibattito economico: sempre più spesso si usano espressioni come finanza etica, commercio etico, etica degli affari, e tutte le maggiori aziende internazionali si sono dotate di un codice etico. Fa da contraltare a questa apparente “eticizzazione” dell’economia, una crisi gravissima interpretabile anche come la conseguenza e il frutto di comportamenti eccessivi e spregiudicati da parte di alcuni operatori economici, soprattutto finanziari. La spiegazione di questo apparente paradosso potrebbe risiedere, come hanno suggerito alcuni, nel fatto che la domanda di comportamenti etici è una reazione e, appunto, una prevedibile risposta alla crisi attuale, ma anche che la professione di eticità sia in questa fase un mero strumento di marketing usato per mascherare e giustificare comportamenti che, nella sostanza, continuano a essere tutt’altro che etici. Se è verosimile che entrambe queste interpretazioni possono essere valide e coesistere, la domanda da porsi rimane cosa definisca realmente un comportamento etico in economia.
L’eredità spirituale dell’ultimo conflitto mondiale è forse l’aver mostrato che l’etica si fonda più che sulle buone intenzioni sull’assumersi pienamente le proprie responsabilità verso gli altri. L’etica è, quindi, innanzitutto un problema di assunzione in prima persona di responsabilità verso una collettività. Ne consegue che l’economia che regola gli scambi tra collettività di attori – sia a livello di impresa che di interi sistemi economici – sia un campo privilegiato per lo svolgimento del discorso etico.
A livello di impresa, può essere opinabile e non oggettivamente misurabile determinare se e quanto una certa azienda, nel suo complesso, sia etica. Si può effettuare però una valutazione dei comportamenti individuali delle persone che compongono l’impresa – siano essi manager, dipendenti, o imprenditori – e osservare quali valori legano il gruppo nel suo complesso, quale sia la cultura e l’atteggiamento verso gli stakeholder esterni, e quale siano i meccanismi di scambio e di fiducia che legano gli individui fra loro all’interno dell’organizzazione.
L’etica dell’impresa può, quindi, essere vista come il prodotto dei valori che tengono insieme il gruppo e dei meccanismi che premiano il rispetto di questi valori. L’implicazione operativa per i tutti i membri dell’impresa, e soprattutto per i vertici, è che da un lato i valori devono essere chiaramente definiti e comunicati, e, dall’altro, che – soprattutto tramite l’esempio – la devianza dai principi deve essere esplicitamente sanzionata anche se ciò avvenisse a discapito del ritorno economico di breve. L’orizzonte di misurazione della performance dell’impresa è, infatti, la chiave di volta su cui impostare la missione e la cultura aziendale: se certi comportamenti opportunistici possono risultare profittevoli nel breve periodo, la sostenibilità economica e finanziaria di lungo termine non può che fondarsi su modelli di business che incorporano elementi quali una oculata gestione ecologica delle risorse ambientali, la costruzione di un adeguato welfare aziendale, e un trasparente e ricettivo confronto con gli stakeholder inclusi gli azionisti di minoranza.
A livello di intero sistema economico, se la diatriba teorica sulla eticità del principio del mercato versus altre forme di organizzazione economica tende ad apparire sterile, il focus del confronto dovrebbe piuttosto essere su quali meccanismi, regole e correttivi possano essere introdotti per migliorare il sistema rendendolo tangibilmente più giusto ed equo. Anche in questo caso, la riposta migliore sta nel riconoscimento dei valori condivisi in cui una comunità locale, nazionale o internazionale si riconosce, e su cui ha deciso di fondare la propria vita civile e il proprio destino. Troppo spesso si dimentica – come sta avvenendo nell’attuale crisi – il ruolo fondante e preordinato rispetto agli aspetti economici che, per esempio, le dichiarazioni dei valori di libertà, uguaglianza e di ricerca della pace hanno nella nostra Carta Costituzionale o nella Carta dei diritti dell’Unione Europea, e perfino in un documento che regolava solo transazioni squisitamente commerciali come il Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Solo alla luce di questi valori si può raccogliere la “sfida etica” della globalizzazione per ristabilire il primato delle regole, ritrovando il difficile ma imprescindibile equilibrio tra efficienza, equità, libertà e benessere.