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Attività

Donne e sicurezza: abbattere barriere e stereotipi

    • Incontro in modalità digitale
    • 16 Ottobre 2020

          Donne e lavoro, un binomio strategico ma ancora non completamente affermato nelle società contemporanee, soprattutto in alcuni settori generalmente percepiti come maschili. Esistono professioni in cui le donne non sono ancora presenti in maniera consistente, laddove vecchie barriere e nuovi stereotipi, come quelli individuati dalla ricerca condotta dal Dipartimento di scienze storiche giuridiche e sociali dell’Università di Siena, impediscono un pieno accesso. Con la ricerca – fatta attraverso interviste, focus group e una online community donne di diverse età e grado di istruzione – si è cercato, ad esempio, di capire perché ci sia una minore propensione delle donne ad intraprendere una professione nelle Forze Armate o nella polizia. I risultati dell’indagine dicono che, sebbene le professioni militari vengano viste dalle donne in modo positivo soprattutto come opportunità per conoscere nuovi contesti e culture e per rendere un servizio alla collettività, per scegliere queste carriere rimangono ancora diversi ostacoli.

          Nel 2000 le Forze Armate aprivano le porte alle donne, in seguito ad una legge approvata nel 1999. Nello stesso anno con la Risoluzione 1325, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riconosceva l’importanza e la specificità delle donne nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti, nei negoziati di pace e anche nella ricostruzione dopo una guerra. Vent’anni dopo, le donne sono presenti in tutti i settori operativi delle Forze Armate, tuttavia sono ancora poche: il 5,7% di tutto il personale in media.

          Il primo ostacolo da considerare è quello per cui tra le donne prevale un’immagine delle Forze Amate come un luogo in cui domina una cultura organizzativa maschile. Il secondo potente stereotipo è che in questi settori è difficile conciliare i tempi del lavoro con quelli della vita, ad esempio una famiglia e dei figli. D’altra parte, anche la capacità di attrazione di queste istituzioni è piuttosto bassa. C’è, dunque, bisogno di una comunicazione strategica che evidenzi il significato sociale di una simile professione e c’è bisogno di un supporto alla genitorialità: più asili nido e un accesso ai congedi parentali più semplice.

          Il problema degli stereotipi è potente anche in altri settori, ad esempio in politica, benché l’accesso delle donne in questo campo abbia 50 anni in più rispetto a quello nelle Forze Armate. Oppure nella scienza: in particolare le ragazze che accedono all’università scelgono poco le facoltà STEM. L’identità “STEM” si forma presto, già dalle scuole  elementari, spesso quando arrivano alle medie le ragazze già vivono con ansia lo studio della matematica. Forse un modello con cui identificarsi, presente già in tenera età, potrebbe essere utile.

          E proprio dal desiderio di fornire dei modelli cui ispirarsi in giovane età è nato Inspiring Girls, un progetto internazionale di Valore D, associazione di imprese che si impegna per l’equilibrio di genere. Inspiring Girls favorisce l’incontro delle ragazze e dei ragazzi tra i 10 e i 14 anni con “role model”, ovvero donne che raccontano la loro storia lavorativa, incentivando le giovanissime generazioni a subire di meno i condizionamenti derivanti dagli stereotipi che le porta a dire “quel lavoro non è adatto a una donna”.

          Importante è altresì il ruolo della digitalizzazione anche se negli ultimi anni le tecnologie, ad esempio attraverso i social, sono diventati veicolo di stereotipi. Eppure è riconosciuto che le donne possano essere parte determinante nella risoluzione di conflitti rivestendo tanti ruoli, compresi quelli nei servizi segreti. Sempre più, infatti, emerge che alcune soft skill sono meglio espresse grazie ad abilità ritenute femminili. Da questo punto di vista è stato ricordato che l’Italia è in prima linea nel ragionare sul ruolo positivo delle donne nei conflitti.

          Si è discusso anche di quote e sul valore di questo strumento: certamente può essere un acceleratore di processi culturali altrimenti lentissimi, ma va affiancato ad altri strumenti e azioni. Ad esempio si deve lavorare sui temi del Welfare, dei congedi parentali, degli stereotipi e, in particolare, sull’alfabetizzazione digitale della popolazione femminile. Senza un insieme complessivo di misure si potrebbero addirittura perdere i progressi di genere già fatti in questi anni.  Un problema che riveste una grande importanza per tutti, uomini e donne, poiché la bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro è un fattore importante che incide sulla scarsa produttività del Paese nel suo complesso.

          La ricerca presentata dall’università di Siena è stata infine indicata come una traccia di lavoro per il quarto piano d’azione in attuazione della Risoluzione 1325, in particolare per quanto riguarda le motivazioni delle ragazze e il come riformare le istituzioni in modo da renderle più accoglienti per le donne. A questo proposito sono stati segnalati alcuni appuntamenti importanti: il Recovery Plan, passaggio decisivo per la ripresa ma anche per la parità di genere; il Women20 all’interno del G20 che sarà uno dei punti fondamentali della presidenza italiana, e l’appuntamento di Expo a Dubai con la Women Week.

          Il governo italiano – è stato ricordato – è stato uno dei pochi ad aver investito sulla risoluzione 1325 con risorse dedicate. Ora è tempo di un bilancio dell’efficacia dei piani d’azione ed è tempo di rilanciare le ragioni per cui è necessario avere donne che pesino nelle missioni militari, nella diplomazia, ma anche nella cooperazione allo sviluppo. Con un avvertimento: importante coinvolgere gli uomini, ma resta decisiva la capacità delle donne di fare rete.