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Attività

The decline of the West? The dilemma of liberal democracies

    • Incontro in modalità digitale
    • 1 Dicembre 2021

          In Occidente sta venendo meno la civiltà o la democrazia? Da ormai un secolo si parla di “declino” dell’Occidente, inteso come declino demografico, economico e di valori fondamentali come libertà, democrazia e società “aperta”. È stato anche interpretato come declino di valori morali in senso ampio e come inizio di una differente percezione delle diversità del mondo.

          Forse, invece che di “declino” si potrebbe parlare dei “cambiamenti” che le società occidentali stanno attraversando, determinati dalla tecnologia o dal clima. O, ancora, si potrebbe parlare di “crisi” perché il mondo si trova davanti a problemi gravi che non tendono a migliorare, almeno nell’immediato.

          Si tratta di questioni legate sia alla coerenza interna degli stati occidentali come salute, alleanza transatlantica ed integrità delle democrazie sia alle relazioni con gli attori “esterni” al mondo occidentale. In ogni caso non si tratta di “scontro di civiltà”. Una domanda di partenza riguarda senza dubbio quale sia base morale dell’Occidente: una volta era il cristianesimo, ma oggi l’approccio potrebbe essere diverso, assumendo ad esempio il concetto di una verità post-cristiana, secolare. Una impostazione, però, che potrebbe causare dissenso almeno fino a quando non saranno definiti e condivisi i valori da promuovere.

          Altro aspetto è il rapporto tra nazionalismo e democrazia: storicamente, l’ascesa della democrazia è collegata ad un senso di identità etnica e culturale. Questa spinta propulsiva non è venuta meno – risorgono infatti i nazionalismi – ma il crescere delle tensioni indebolisce la tenuta complessiva dell’Occidente. La democrazia è in arretramento soprattutto in aree del mondo complesse dal punto di vista geopolitico e l’Occidente non riesce a il crescere di a contenere comportamenti autoritari in altre nazioni. La debolezza della classe politica occidentale non offre quindi risposte, come se non si credesse più di essere ciò che si rappresenta e si è sempre rappresentato.

          La “crisi” è quindi intellettuale e internazionale. Una cosa è certa: che la previsione sulla fine della storia di Francis Fukuyama era sbagliata. Un po’ provocatoriamente, si potrebbe dire piuttosto che ad essere finita è la democrazia, così come l’Occidente sembra essersi fermato al 1989. Oppure secondo alcuni nel mondo è ormai presente una vera e propria “simulazione” di democrazia. Quella che si conosceva sembra non esistere più: tecnologie, intelligenza artificiale, big data, scarsa inclusività, global governance opaca.

          L’Occidente – si è argomentato – sembra preso da un vortice di autoreferenzialità e non è in grado di criticare i propri errori. La tendenza alla polarizzazione nelle società e le crescenti disuguaglianze, coniugate ad uno stato di eccezione causato da vari motivi come terrorismo e pandemia, rischiano perciò di danneggiare i sistemi politici attuali.

          Lo scenario per quanto difficile non è però catastrofico. Si tratta semplicemente di prendere atto e riflettere su quanto sta accadendo e su quanto sia fluida la realtà. La democrazia di oggi sembra ridotta ad un processo, ad un mercato della politica, dei beni, delle idee, delle tecnologie, del successo personale. Si assiste ad un trionfo dell’iper-individualismo, ma non dell’individualismo “buono”, che ha determinato importanti cambiamenti nel passato, anche recente.

          C’è chi ritiene che la crescita dei nazionalismi potrebbe essere letta come una reazione all’iper-individualismo e alla necessità di trovare un senso di appartenenza collettiva e di identità. E proprio la crisi di identità attuale, insieme alla crisi delle identità primarie, può offrire una ulteriore chiave di lettura. Nel primo caso si deve fare particolare attenzione alle manipolazioni derivanti da internet ad opera dei “nemici” dell’Occidente, che hanno trovato nelle divisioni interne un varco per destabilizzare il sistema. Nel secondo caso, invece, si assiste ad una crescita senza progresso, che si infiltra nella società e nella coscienza generale e impone un rinnovamento e un ripensamento per acquisire consapevolezza dei conflitti interni alla società.

          In questo quadro gioca un ruolo chiave l’educazione sia verso la scienza ma anche verso la riflessione, il ragionamento e la disamina delle problematiche sociali, liberandosi del ruolo non sempre positivo dei social media. Il “declino” dell’Occidente può avere ulteriori chiavi di lettura come, ad esempio, un semplice “ribilanciamento” del potere, come è spesso avvenuto nella storia dell’umanità con l’ascesa e il declino delle grandi potenze, dall’Impero Romano in poi. O, ancora, è possibile distinguere tra declino assoluto e declino relativo. Il primo è “domestico” e riguarda la democrazia e i valori della “società aperta”. Il secondo si può comprendere meglio analizzando il potere economico dell’Occidente e la sua posizione globale relativa: tuttavia, il declino relativo richiede una riflessione su come l’Occidente vorrà affrontare il resto del mondo e, in particolare, quella parte di mondo che non riguarda l’Europa né gli Stati Uniti e neanche la Russia e la Cina.

          Infine, la crisi di identità potrebbe riguardare, da un punto di vista strettamente sociale, l’affermazione di una società post-proletaria, in cui la classe sociale di riferimento, il proletariato, non è più protagonista poiché il suo progresso non è più un principio sociale. Tale mancanza pone però interrogativi le cui risposte richiedono riflessioni profonde.