La società contemporanea vive un paradosso: nella popolazione mondiale i decessi legati alla mancanza di cibo e quelli relativi a malattie determinate dalla sovra-alimentazione si equivalgono. Questa ripartizione iniqua delle risorse alimentari è ancora più problematica se si considera che la filiera della produzione del cibo (dall’agricoltura alla tavola dei consumatori) è responsabile per circa il 40% delle emissioni di gas nocivi.
La riposta alla crisi climatica passa, quindi, anche per un cambiamento dell’alimentazione e delle filiere agroalimentari. L’innovazione è l’elemento chiave che può ridurre sostanzialmente i consumi e gli sprechi, come dimostrano gli effetti dell’agricoltura di precisione. Il consumo di suolo, ricco di carbonio, libera grandi quantità di emissioni nocive nell’aria. È possibile invertire questa tendenza non solo per rendere più sostenibili le coltivazioni, ma anche per far sì che l’agricoltura possa tornare a “catturare” carbonio, partendo da un utilizzo più diffuso ed efficace dei rifiuti umidi.
Le nuove generazioni mostrano segnali incoraggianti, sia dal punto di vista di un cambiamento dello stile di vita, sia dall’accresciuto interesse verso le opportunità lavorative del settore agricolo. Tuttavia l’urgenza della crisi climatica impone azioni rapide, orientate su due pilastri: mitigazione degli effetti dei cambiamenti e adattamento sia delle popolazioni sia delle coltivazioni.
Alla base ci deve essere un’opera di educazione, ad iniziare dalla divulgazione e dalla spiegazione delle evidenze scientifiche dei fenomeni in atto. La riduzione delle emissioni di gas nocivi non comporta effetti immediati sul clima per l’elevata quantità di gas climalteranti già presenti nell’atmosfera. È necessario, quindi, un impegno di lungo periodo, possibile solo con l’appoggio di ampi strati dell’opinione pubblica.
Accanto a questo è necessario anche innovare il modello economico e inserire i beni ambientali e le azioni volte alla loro tutela non solo come costi, ma come valori che possano essere contabilizzati dalle aziende. Interventi di policy di questo genere potrebbero aiutare a far partire l’auspicato green new deal, rendendolo un pilastro dei modelli di sviluppo e portando così su grande scala le azioni necessarie a tutelare il pianeta.
In questo scenario l’Italia presenta luci e ombre. In ritardo su diversi aspetti della protezione ambientale e dell’innovazione agricola, il Paese può avere un ruolo di apripista nel settore agroalimentare, dal biologico e alle produzioni territoriali di qualità, cercando di portare a sistema le proprie eccellenze territoriali. Nella mutata dialettica fra città e campagna, infatti, oggi le vaste aree urbane che inglobano o toccano le campagne possono diventare modelli di sostenibilità e innovazione, capaci di generare ricadute positive sui territori e sull’ambiente.