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Attività

China, Europe, United States: the global adjustment

    • Roma
    • 30 Novembre 2012

          Le tre maggiori aree economiche del pianeta – Cina, Europa, Stati Uniti – sono di fronte a sfide complesse, a causa del rallentamento della crescita globale e del parziale riequilibrio che ne consegue ma anche a causa della varie incongruenze o inefficienze interne di cui soffrono. Le grandi scelte politiche e istituzionali interne non possono in effetti essere separate da quelle economiche. A fronte di questo problema comune, le differenze sono molte e assai significative.

          La Cina si presenta oggi – avendo appena completato la prima fase di una delicata transizione al vertice del Partito e dello Stato – con un sistema politico e amministrativo che non garantisce la rule of law e non consente un’aperta discussione delle principali scelte per il paese. Tale situazione entra sempre più spesso in contrasto con il grado crescente di esposizione e interdipendenza cinese rispetto al resto del mondo, riducendo in certa misura anche il dinamismo economico delle imprese cinesi. In particolare, per poter perseguire ambizioni globali la corporate governance va profondamente innovata e l’intero settore finanziario va costruito secondo criteri moderni e standard internazionali.

          L’Europa non è al momento un’entità pienamente definita, anche per la crescente complessità del rapporto tra Unione europea (a 27 membri) ed eurozona (a 17). La moneta unica ha chiaramente raggiunto un passaggio cruciale in cui le politiche fiscali e di bilancio devono necessariamente essere meglio integrate in una struttura più coerente. Ma in realtà anche il mercato unico – spina dorsale dell’intero progetto di integrazione – è tutt’altro che completo, e proprio lo stimolo della crisi finanziaria e del debito potrebbe servire a superare le resistenze per compiere un passo decisivo verso il mercato unico dei servizi. La questione di fondo resta comunque quella della crescita, precondizione anche per una soluzione meno socialmente dolorosa al problema del debito: la tenuta politico-sociale del modello europeo è infatti incerta se non ci sarà in tempi brevi un rilancio del dinamismo economico dell’eurozona.

          Gli Stati Uniti devono affrontare con urgenza il fiscal cliff con i suoi delicati riflessi politici in un sistema molto polarizzato, ma devono soprattutto impostare una linea di medio e lungo termine per gestire i trend nel settore della sanità e della previdenza. Anche  il settore infrastrutturale e quello dell’istruzione richiedono investimenti significativi se si vorrà conservare la competitività complessiva del sistema economico americano. Ci sono poi quesiti ormai legittimi sul futuro del dollaro come moneta internazionale di riserva, sebbene questo e altri vantaggi comparati degli Stati Uniti (come il dinamismo demografico, o la superiorità militare, che ha a sua volta anche effetti economici) sembrano destinati a perdurare almeno in parte.

          Di fronte a questo quadro dinamico, un problema specifico deriva dalle diverse percezioni reciproche dei tre grandi attori economici. La visione del mondo di Pechino è di più lungo periodo rispetto alle potenzialità del paese e al relativo declino delle economie occidentali, dando per scontato il ritorno cinese ad una posizione prominente su scala globale. Da parte europea, l’ambizione ad accrescere il proprio peso “aggregato” in un’arena internazionale sempre più competitiva si intreccia con le persistenti prerogative nazionali che i paesi membri difendono con forza, oltre che con lo storico rapporto privilegiato con gli Stati Uniti; e un timore ricorrente è quello che nasca un informale “G2” sino-americano che sposti ancor più l’asse mondiale verso il Pacifico. La visione americana parte dallo status di superpotenza o quantomeno primus inter pares di cui gli Stati Uniti godono tuttora, fondata sulla combinazione di potenza economico/monetaria e militare e di influenza diplomatica e culturale a tutto campo. La gestione delle tradizionali alleanza (bilaterali o “a raggiera”) sarà essenziale per determinare la direzione dell’intero sistema di governance globale, che dipende tanto dalle istituzioni formali quanto dagli assetti informali.

          I partecipanti hanno discusso alcune implicazioni di questo riassetto generale in corso per il business: una conclusione di fondo è che  i rapporti fra Cina, Europa e Stati Uniti sono decisivi per il clima imprenditoriale anche al di là degli scambi triangolari diretti e delle oscillazioni di breve periodo –  come dimostra, tra l‘altro, la tenuta del dollaro e dell’euro sui mercati perfino nelle fasi più acute della crisi. Dall’assetto monetario globale ai flussi di investimenti, le numerose sfide aperte lasciano comunque a queste tre macro-economiche una responsabilità centrale per il futuro del sistema politico, economico e di sicurezza globale.

          • Vittorio Grilli e Joaquín Almunia
          • Marta Dassù e Linda Yueh
          • Athar Hussain e Stapleton Roy
          • China, Europe, United States: the global adjustment, Roma, 30 november – 1 dicembre 2012
          • Athar Hussain, Joaquín Almunia, Vittorio Grilli, Angelo Maria Petroni, Daniel Gros e Edward Tse