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Attività

Biotecnologie e scienze della vita in Italia: quali azioni per la competitività?

    • Milano
    • 3 Dicembre 2012

          Le biotecnologie sono un ambito scientifico con grandi prospettive in cui l’Italia può giocare un ruolo importante. Il Paese, infatti, parte da un livello di formazione elevato e offre ottime professionalità nel settore. I benefici, anche economici, che si prospettano sono davvero considerevoli con ricadute interessanti anche dal punto di vista industriale: le biotecnologie sono un mercato in crescita non solo grazie all’incremento delle aspettative di vita, ma anche per il costante aumento delle persone che, nel mondo, hanno accesso a cure mediche.

          Per essere davvero competitivi bisogna, però, compiere uno sforzo di sistema che metta insieme le eccellenze della ricerca scientifica, le imprese del settore e il mondo del volontariato.
          Il primo scoglio da superare è culturale: è necessario far conoscere e comunicare correttamente all’opinione pubblica l’importanza delle biotecnologie e la loro rilevanza per la collettività.

          Un’altra questione riguarda la necessità di provvedimenti coordinati dal punto di vista normativo che eliminino i freni esistenti allo sviluppo del biotech. Chi lavora in Italia ha spesso un buon background nella gestione di imprevisti e sistemi complessi, ma il metodo più semplice per far crescere e prosperare questo settore è applicare i modelli di successo già sperimentati in altri Paesi.

          Il punto di partenza devono essere le università e dagli istituti di ricerca dove bisogna trattenere e premiare i ricercatori più bravi e al contempo favorirne la circolazione all’interno di un sistema che comprenda anche l’industria. Gli strumenti disponibili sono diversi (si pensi, ad esempio, al dottorato industriale), ma il trasferimento tecnologico dall’accademia all’impresa passa soprattutto per il riconoscimento della carriera al di fuori dell’ambito universitario e, quindi, per una valutazione corretta non solo delle pubblicazioni, ma anche dei risultati ottenuti in termini di brevetti.

          Altro capitolo, per nulla secondario, riguarda i finanziamenti. In tempi di scarsa liquidità la misura più efficace è quella di razionalizzare e specializzare i centri di ricerca esistenti per creare dei poli che siano davvero in grado di creare un’integrazione di filiera, compito cui in Italia sopperiscono troppo spesso le fondazioni nonprofit. In un settore in cui mancano investimenti privati in ricerca e sviluppo –  resi difficili da un tessuto di piccole e medie imprese spesso sottocapitalizzate – uno dei primi provvedimenti da mettere in campo è il credito di imposta, che ha già dato buoni risultati in altri paesi europei.

          La mancanza di questo tipo di incentivi rischia di penalizzare l’insediamento di centri di ricerca in Italia, proprio quando si stanno aprendo prospettive interessanti conseguenti ai nuovi paradigmi di ricerca delle grandi aziende farmaceutiche. Le Big pharma, anziché sviluppare tutto in casa, guardano infatti all’esterno per partnership con realtà più piccole e dinamiche.

          Per cogliere questa opportunità bisogna favorire il tessuto vitale degli spin-off e delle start-up. Insieme ai problemi legati all’affermarsi di imprese innovative in Italia, le aziende di questo settore risentono in particolare di tempi di sviluppo molto lunghi e di iter regolamentari molto complessi. Per le biotecnologie più che in altri campi dell’innovazione è più utile creare un sistema di competenze integrate che consenta di passare rapidamente dalla ricerca al mercato. Solo così questo settore potrà diventare competitivo e contribuire alla crescita del Paese.

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