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Assessing risk: governments and business facing multiple challenges

  • Venezia
  • 24 Marzo 2023
  • 25 Marzo 2023

        In un quadro di sicurezza internazionale molto incerto, e con un “ordine globale” (di marca occidentale) oggi apertamente contestato da più parti, nuove fonti di instabilità economica sono emerse recentemente.

        Dopo la difficile ripresa post-pandemia, una serie di scelte economiche fatte in base a considerazioni di politica interna hanno quasi ignorato il contesto internazionale, e in ogni caso non sono state coordinate: gli effetti di questa situazione sono emersi con forza a seguito della crisi di due banche (negli USA e in Europa) che ancora non prefigurano una crisi sistemica ma certamente complicano il calcolo di policy nel breve periodo – per i governi e le autorità monetarie, come anche per i grandi investitori e i consumatori. Nel complesso siamo di fronte a una grande volatilità economica, che sul piano macro vede certamente un crescente ruolo della Cina in campo finanziario e commerciale, nonostante alcune evidenti difficoltà nel suo percorso di sviluppo e la ben nota “trappola del reddito medio”.

        Un dato positivo sul piano globale è la ripresa post-pandemia, che è stata più rapida e robusta delle previsioni, pur in un contesto complicato dalla guerra russo-ucraina. D’altro canto, le speranze di un rapido processo di “reshoring”, da molti auspicato, sono state presto moderate dalla realtà delle spinte inflazionistiche che certo sarebbero accelerate ulteriormente in caso di uno spostamento di alcune produzioni di beni di consumo verso Paesi con costo del lavoro più alto.

        Questa volatilità ormai quasi strutturale diventa ingestibile se gli strumenti analitici e previsionali sono fallaci o insufficienti, come suggerisce il fatto che anche i maggiori esperti in specifici settori – economici, di sicurezza, tecnologici, etc. – sono stati comunque ripetutamente sorpresi da dinamiche di mercato e soprattutto da dinamiche di politica interna che hanno poi ripercussioni internazionali e transnazionali.

        Gli eventi recenti nel mondo bancario impongono una nuova riflessione sull’intero settore e sui legami della grande finanza con il quadro economico complessivo. Le condizioni di fondo di una crisi bancaria su larga scala sono in effetti presenti, visto l’aumento consistente dei tassi d’interesse e la “bolla digitale” che di fatto è stata prodotta o accelerata dalla pandemia, ma molto dipenderà dai fattori contingenti. Una saldatura tra difficoltà bancarie e una recessione generalizzata (che almeno in alcuni Paesi europei sarebbe piuttosto severa) renderebbe i problemi finanziari impossibili da contenere. Vi sono comunque al momento opinioni diverse sulla probabilità di un rapido contagio tra un’eventuale recessione americana e l’eurozona, visto che i dati macroeconomici sono piuttosto diversi.

        Il parere praticamente unanime dei partecipanti è che, proprio a fronte di questi fattori di rischio e di volatilità, un’area economica transatlantica rafforzata – che prenda le mosse dal Trade and Technology Council attualmente in vigore, e recuperi alcuni dei dossier aperti con il progetto di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) – avrebbe effetti positivi nel breve e nel lungo termine.

        Il ruolo della Cina è obiettivamente centrale per le prospettive dell’economia globale, pur in presenza di una fase difficile per il Paese rispetto alle scelte di politica economica. L’obiettivo per l’economia cinese è raggiungere i Paesi OCSE in termini di reddito pro capite; per farlo sarà necessario innovare, e non soltanto imitare i modelli altrui. La chiave per questo passaggio, secondo molti partecipanti, è puntare sulla “tecnologia software”, che include le istituzioni politiche e una serie di riforme strutturali che al momento sono state bloccate: si tratta dunque di una sfida ad amplissimo raggio per il modello cinese.

        A maggior ragione in un quadro del genere, anche la politica estera tende a diventare una manifestazione delle dinamiche di politica interna, intrecciandosi con considerazioni di sicurezza. Il pericolo è che proprio le difficoltà sulla via dello sviluppo economico spingano l’attuale leadership di Pechino ad accelerare verso una vera contrapposizione geopolitica e perfino ideologica con l’Occidente. L’atteggiamento americano ed europeo sembra tuttora orientato a ricercare alcune forme di cooperazione selettiva con Pechino, pur a fronte di crescenti difficoltà e scelte difficili tra interessi economici e considerazioni di sicurezza.

        La guerra russo-ucraina è ormai un conflitto “esistenziale” per entrambe le parti in causa, e dunque al momento non esistono incentivi sufficiente per aprire una fase negoziale. Gli obiettivi non negoziabili peraltro non riguardano soltanto le rispettive leadership, ma anche ampie percentuali delle opinioni pubbliche in entrambi i Paesi.

        Un fattore decisivo per mantenere quantomeno una precaria stabilità sarà comunque l’integrazione dell’Ucraina nelle istituzioni euroatlantiche, sia come forma diretta di garanzia di sicurezza sia come sostegno alla ricostruzione e al rafforzamento delle proprie capacità di autodifendersi. Il conflitto in corso ha comunque implicazioni di carattere globale, in almeno quattro dimensioni: le regole di fondo del diritto internazionale (rispetto alla sovranità statuale e ai crimini di guerra); gli effetti sui mercati energetici (dunque sulla stessa transizione sostenibile) e su alcune catene logistiche; il ruolo della Cina come alleato della Russia (pur con alcune esitazioni e condizioni); l’atteggiamento oscillante di molti Paesi del “global South”.

        La regione mediorientale sembra registrare una serie di sviluppi diplomatici che da un lato la rendono più “autoregolata” rispetto al passato, ma dall’altro consentono ad alcuni attori esterni di inserirsi in modo dinamico e innovativo – a cominciare dalla Cina, protagonista come “facilitatore” del recente riavvicinamento iraniano-saudita.

        Sullo sfondo c’è la percezione, ormai diffusa nella regione, che gli impegni assunti dagli USA non sono sufficientemente affidabili, soprattutto perché troppo soggetti a mutamenti anche netti e repentini in politica interna. L’insieme di queste dinamiche può realmente cambiare gli equilibri nell’intera regione mediorientale, ma è presto per valutare appieno le prospettive di influenza diretta che la Cina potrà esercitare.

        È presto però per valutare la reale portata del mutamento in termini di influenza cinese e americana nella regione, alla luce della persistente presenza militare americana ma anche della complessità di confitti interni o trasversali con cui le diplomazie internazionali devono tuttora confrontarsi – dalla Libia alla Siria, dall’Iraq allo Yemen, dai rapporti Algeria-Marocco a quelli israelo-palestinesi.

        Si conferma intanto la quasi totale assenza della UE come attore proattivo nella regione, a dispetto del peso economico che l’Europa ha a sua disposizione e degli interessi in alcuni casi vitali che sono in gioco.