Interrogarsi sul futuro dell’Occidente assume una particolare importanza in un mondo frammentato che sta cambiando sotto la spinta di crescenti tensioni geopolitiche. La prima vittima di questa situazione è la globalizzazione che per un trentennio sembrava aver fermato la storia e le sue dinamiche, oggi tornate prepotentemente sulla scena. Si è aperta così una nuova era in cui all’attenzione verso gli scambi commerciali guidati dalla mano invisibile del mercato si sostituiscono le mani visibili degli Stati che mettono al centro delle proprie agende una nuova architettura di sicurezza basata, oltre che sulla difesa, anche sulla promozione e la tutela di settori strategici attraverso strumenti di politica industriale. Sarebbe, però, errato ritenere che l’unico esito dell’attuale frammentazione sia un mondo composto di aree isolate e in competizione fra loro: la portata delle sfide globali, ad iniziare dalla crisi climatica, richiede, infatti, la cooperazione del numero più ampio possibile di soggetti.
La costruzione di un nuovo ordine mondiale può partire da una più serrata cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico che già hanno dimostrato di saper lavorare insieme e di avere un ruolo di leadership non solo nel commercio, ma anche nella sicurezza, nella tecnologia e nella sfida verso la sostenibilità. In questo ambito l’Italia può giocare un ruolo di primo piano a fianco degli Stati Uniti, sia per la rilevanza dei legami che uniscono i due Paesi sia per alcuni elementi di forza specifica del Paese: dal buon posizionamento nell’economia circolare, alla capacità di mettere insieme tradizione e innovazione in molti settori industriali, fino alla proiezione economica e politica nel bacino del Mediterraneo.
Complementare a quello degli Stati membri deve essere il ruolo dell’Europa nel rafforzamento della relazione transatlantica, proprio mentre il progetto politico continentale sembra aver bisogno di una nuova spinta per superare le attuali difficoltà. La prima necessaria evoluzione deve riguardare una riflessione sul nuovo assetto di sicurezza del continente che, con l’invasione dell’Ucraina, si è risvegliato da una sorta di illusione kantiana. L’unità dell’Occidente nell’affrontare la minaccia russa non può nascondere i ritardi dell’UE in materia di difesa comune. Una situazione che va affrontata anche alla luce dei costi, finanziari e militari, che in futuro dovranno essere affrontati per stabilizzare la regione; costi che gli Stati Uniti, impegnati nel confronto con la Cina, non potranno sostenere con la stessa intensità degli anni di Guerra fredda.
Il 2024 rappresenta, in questo scenario, un anno cruciale. Le elezioni europee, importanti scadenze elettorali in diversi Stati membri dell’Unione e le presidenziali americane pongono diverse incognite sui rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. Tuttavia, fra gli osservatori prevale l’ottimismo: una relazione forte e duratura come quella costruita dalla Seconda guerra mondiale ad oggi può attraversare momenti di difficoltà, ma non può essere messa facilmente in crisi. America ed Europa del resto, nonostante episodiche difficoltà, sembrano consapevoli che solo insieme possono affrontare e superare le grandi sfide del prossimo futuro: dal clima alla rivoluzione digitale, dalle crisi geopolitiche al complesso rapporto con la Cina. Oggi l’obiettivo comune deve essere quello di riproporre un nuovo sistema di scambi e cooperazione globali, in cui il libero commercio (free trade) possa evolvere in fair trade, attraverso nuovi standard capaci di far rivivere lo spirito di Bretton Woods con cui nel 1944 si creò una nuova architettura economica e finanziaria mondiale.
Si tratta di uno scenario in cui non si potrà ignorare il ruolo delle nuove tecnologie, ad iniziare dall’intelligenza artificiale. Queste rappresentano una grande opportunità per offrire ai governi migliori strumenti di analisi e azione in politica economica e di sicurezza, ma anche una potenziale minaccia sia per quanto riguarda la vulnerabilità delle loro lunghe catene del valore sia per le potenzialità di azione offerte ai regimi autoritari nella repressione interna e nella relazione con le democrazie occidentali. La leva competitiva in mano all’Occidente rimane quella della libertà. Perché solo dalla libertà si può originare quella scienza pura che non si limita a offrire soluzioni migliori sulla base di conoscenze già note, ma è capace di espandere il sapere, garantendo quel progresso e quel benessere che sono alla base del modello occidentale.
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