In Europa è, di nuovo, tempo di allargamento. La questione però è capire come vada fatto. A confronto ci sono due metodi diversi: da una parte chi sostiene l’approccio geopolitico, un “all in” senza se e senza ma; dall’altra chi privilegia un proseguimento del processo di integrazione basato sul “merito”, ovvero la certificazione che i Paesi richiedenti riescano a soddisfare i requisiti necessari per l’adesione.
Nel primo caso, a fronte delle esigenze di sicurezza cresciute enormemente a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, la strada proposta è quella all in, ovvero far entrare nello stesso momento tutti insieme — Ucraina, Moldavia e Paesi balcanici — a prescindere dal loro grado di aderenza ai parametri richiesti dall’Europa. In sostanza conta l’assetto della futura Europa politica e della sua sicurezza piuttosto più che l’assicurazione di aver fatto i “compiti a casa”. Nel secondo caso, invece, l’approccio per l’adesione all’UE è basato sul merito, ovvero sulla soddisfazione dei requisiti richiesti, come sostiene ad esempio l’Ungheria facendo l’esempio del percorso di successo della Croazia. Per i sostenitori del merito una soluzione all in e le conseguenti riforme istituzionali, come il voto a maggioranza, danneggerebbero i Paesi più piccoli.
Non si può negare che l’allargamento in Europa abbia dato in passato esiti positivi e sia riuscito a prevenire i conflitti e a risolvere questioni come quelle tra Slovacchia e Repubblica Ceca o tra Slovenia e Croazia. Ma ci sono anche esempi negativi, fra cui la situazione di Cipro che racchiude in sé un confitto costante e radicato.
In generale sono in molti a sostenere che l’allargamento – di qualunque tipo si tratti – impone un cambiamento dell’hardware istituzionale europeo, iniziando dal passaggio a maggioranza su politica estera e difesa e dal diritto di iniziativa per il Parlamento europeo. Già adesso con un‘Europa a 27 e 4 o 5 fasi elettorali all’anno nei diversi Paesi la governance presenta non pochi problemi: gestire un’Europa ulteriormente allargata diverrebbe impossibile senza riforme istituzionali. Il Governo italiano punta su un percorso riformatore che possa ridisegnare un contesto politico, economico e sociale dell’UE. Nel frattempo, viene considerato un segnale positivo l’istituzione di un Commissario Europeo alla Difesa.
La posizione della Commissione Europea – sempre più “super presidenziale” per l’assommarsi di poteri nelle mani di Ursula von der Leyen – sembra voler comprendere entrambe le metodologie: da una parte l’allargamento viene considerato una questione geopolitica; dall’altra non viene negato che l’adesione vada “meritata”. Dietro all’approccio basato sul merito, secondo alcuni, si è però tenuto nascosto molto scetticismo e poco entusiasmo sull’allargamento. Il momento è però strategico: bisogna convincere gli stessi Paesi candidati che è in atto un nuovo slancio da parte europea.
Molto si è discusso sull’ingresso dell’Ucraina, un candidato considerato credibile, anche se, trattandosi di un paese in guerra, la sua adesione prevede un’agenda molto complessa. Da una parte, non essendo un paese NATO, l’Ucraina vede l’ingresso nell’UE soprattutto in un’ottica di sicurezza interna. Al tempo stesso chi sostiene la tesi geopolitica vede nell’adesione dell’Ucraina e di tutti gli altri Paesi un vantaggio in termini di maggiore sicurezza dei confini europei; non secondario, in questa ottica, il fattore tempo che gli ucraini ritengono strategico e fondamentale. Per i sostenitori dell’approccio meritocratico, invece, se è vero che l’Ucraina ha fatto molti progressi nel campo dei diritti umani, rimangono aperti vari problemi: una diffusa corruzione, un sistema della magistratura da riformare, un PIL pro capite molto basso – 4500 euro rispetto ad una media europea di 38.000 – uno sviluppo rurale poco dinamico a causa della guerra.
In una visione di approccio meritocratico parecchi sono stati anche i progressi della Moldavia, mentre buone notizie ci sono anche sul fronte dei Balcani occidentali: l’Albania sta seguendo il proprio percorso e il Montenegro ha meritato già un calendario preciso per l’adesione nel 2026. Anche per la Serbia si prevedono tempi brevi, pur restando ancora molto da fare: pesa soprattutto il complesso rapporto con il Kosovo. Qualche riserva in più per la Macedonia del Nord soprattutto per la lentezza della riforma costituzionale e la difficoltà di rapporto con la Bulgaria.
Strategiche per il futuro dell’Europa sono, poi, le questioni economiche e soprattutto il rilancio della sua produttività e competitività. Un ruolo in questo senso potrebbe averlo la proposta Draghi della necessità di investire almeno 800 miliardi di euro nell’economia continentale: il settore privato potrebbe offrire un contributo notevole in questa direzione. Contestualmente servono, pure in questo campo, cambiamenti di governance, anche perché sempre più la dimensione economica è legata a quella della sicurezza.
Nella ripresa del processo di allargamento, infatti, le incognite economiche non sono di secondo piano. E in questo caso le opinioni sono divergenti. C’è chi ritiene che le conseguenze di tale processo potrebbero essere meno onerose di quelle del 2004: l’Ucraina, ad esempio, potrebbe beneficiare dei fondi strutturali per dar maggiore impeto alla propria economia. Del resto – si fa notare – fondamentalmente il problema vero dell’UE non sarebbe il peso economico di un eventuale allargamento all in, bensì la giungla normativa esistente in Europa che rallenta la competitività e la produttività delle imprese, nonché l’incompletezza del mercato dei capitali. C’è però anche chi considera l’ampliamento dell’Unione un peso economico eccessivo per un’Europa che già sta attraversando situazioni di fragilità e di non brillante crescita.

In tale quadro, il futuro dell’allargamento viene sostanzialmente visto attraverso tre opzioni. La prima business as usual, ovvero nulla cambia. La seconda una sorta di fast track, di binario veloce, in grado di dare priorità alla geopolitica in una visione che privilegi l’urgenza della sicurezza testimoniata da due conflitti – russo-ucraino e israelo-palestinese – in atto alle porte dellEuropa. Terza opzione – secondo alcuni la più realistica – un’integrazione graduale che conceda ai Paesi candidati alcuni vantaggi nella fase di pre-adesione, offrendo loro alcune possibilità di integrarsi nel mercato unico. Già nel passato sono stati fatti passaggi graduali, soprattutto nel sistema economico e nel mercato interno, come ad esempio concedere il roaming ai Paesi candidati o far loro beneficiare di alcuni vantaggi del sistema di europagamenti.
Sin dall’inizio il percorso di integrazione dell’Europa – e il suo allargamento – non è mai stato né lineare né tranquillo, bensì tortuoso. Nulla è stato ed è scontato. Potrebbe allora essere risolutivo un pensiero non convenzionale, una sorta di “visione di artista”: la soluzione all in e il suo portato geopolitico potrebbero mettere insieme la strada di democrazia e modernità – propria dei Paesi dell’Ovest – con visioni più tradizionali e tradizionaliste, lontane dalla post-modernità – ancora prevalenti nei Paesi dell’Est. Un connubio, questo, cui si potrebbe arrivare – per avere un’Europa più solida e sicura – aprendo subito un dialogo tra le culture europee. Perché la guerra russo-ucraina ad un certo punto finirà, ma non terminerà il confronto tra due visioni diverse della politica e della cultura europea.