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Attività

Vincoli e opportunità dall’Europa: capire l’Unione per favorire imprese e lavoro

    • Milano
    • 8 Giugno 2015

          Serve una nuova narrazione dell’Europa. Serve soprattutto per contrastare la deriva populista che fa dell’antieuropeismo la propria bandiera. I dati dell’eurobarometro, che misura la fiducia dei cittadini nell’idea di Europa, danno la visione dei Padri fondatori in caduta libera. Nel 2008 il 75% dei cittadini italiani era fortemente convinto della validità del progetto europeo, mentre oggi la percentuale rischia di andare sotto il 50%.

          Sono quattro i fattori che hanno portato in questa direzione. In primo luogo l’allargamento, che non è più solo un dato geografico, ma ideologico. Non stupisce allora che mentre dieci anni fa nel sentire comune era di maggior prestigio e riconoscibilità la Corte Costituzionale italiana, oggi il primato va alla Corte di giustizia europea. E ancora: la globalizzazione ha trovato l’Europa impreparata, portandola a competere – e spesso a soccombere – con oligopoli perfetti ed economie  di comando. L’euro e la sua complessità – si è anche detto – dividono piuttosto che unire. Infine: non esistono nei Trattati europei strumenti per far fronte ad una crisi di sistema come quella iniziata nel 2008.

          Tutto questo ha diffuso nei cittadini europei disillusione, scetticismo e un forte sentimento antieuropeista. A fronte di un possibile default greco, della crisi in Ucraina e delle divisioni di una già di per sé carente politica europea si percepisce per la prima volta l’idea che la costruzione di un’Europa politica non sia poi quel granitico e irreversibile processo che si dava per scontato alcuni anni fa.

          Nessuno stato europeo –  è stato detto –  nel 2030 tra le prime sette economie mondiali. La realtà di un’Europa economicamente forte si ferma spesso di fronte ad un continuo contenzioso tra regole nazionali e normativa europea. Proprio l’Italia ha il poco lusinghiero primato di procedure d’infrazione e condanne. Per non parlare della perdita secca di denaro pubblico provocata dal mancato utilizzo dei fondi strutturali.

          Serve quindi una nuova narrazione europea anche sul fronte delle imprese che sovente vivono la realtà continentale solo come vincoli e regole spesso incomprensibili: regolamentare tutto nei minimi dettagli induce alla visone di un’Europa “matrigna” più che ad un modello vincente. Basti pensare che l’ultima Gazzetta ufficiale europea è composta di 11.000 pagine. Se l’Europa della finanza e delle banche gode grandi benefici e quella delle grandi imprese si avvantaggia dell’euro e del mercato interno manca del tutto un progetto europeo per le Pmi, che sono peraltro il 90% del mondo industriale continentale. Va affrontata anche l’evidente asimmetria tra movimento di capitali e movimento di capitale umano. Lo spostamento di manodopera non è ancora concepito come un biglietto di andata e ritorno quando ci si muove da un paese meno ricco come ad esempio il Portogallo verso uno più solido economicamente come la Germania.

          Per sconfiggere lo scetticismo – e gli ottimisti in verità non sono poi pochi – l’Europa deve giocare in attacco su alcuni punti chiave della sua identità: il mercato unico e il suo completamento, la modernizzazione della PA e il miglioramento della giustizia civile, l’agenda digitale europea e un’armonizzazione delle politiche energetiche. Deve inoltre rafforzare i meccanismi di sorveglianza della politica fiscale e rilanciare la politica industriale. In un mondo globalizzato, dove si ragiona per blocchi, il ruolo regionale è fondamentale: l’Ue è chiamata a far sentire forte la propria voce sui dossier più scottanti.  La tendenza – si è notato – è purtroppo invece verso una maggiore marginalità. Senza contare il rischio concreto di “perdere” – la Gran Bretagna a seguito del referendum: per ora non ci sono state da parte europea risposte concrete alle richieste di Cameron. E, secondo alcuni, non sono sufficienti generiche proposte di maggiore integrazione. Tanto più che davanti a un problema grave e reale come quello dei migranti l’Ue si divide, dimenticando i fondamentali di un processo integrativo corretto.

          Il vertice europeo di fine giugno dovrebbe – si è osservato – riportare il baricentro politico sulla Commissione rispetto al Consiglio. L’aggiornamento del documento dei quattro Presidenti, che ha visto anche il contributo del Parlamento europeo, potrebbe essere una “road map” da cui ripartire per una maggiore convergenza e integrazione, ridefinendo nuove regole comuni e ridiventando autorevoli su scala globale.  

          Sarebbe saggio, senza dubbio, riportare la costruzione europea verso una maggiore razionalità, ricordando come nel 1955 Albert Camus immaginasse l’Europa fondata su due pilastri: la difesa della dignità  umana e la ragione cartesiana. All’epoca si dubitava del primo, ma non c’erano esitazioni sul secondo. Oggi, mentre nessuno mette più in dubbio il valore della dignità umana, sembra essere andato perso proprio quel pilastro della ragione di cui, appunto, nessuno all’epoca dubitava.

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