Ridisegnare l’immagine Italia in un momento di crisi non solo è strategico, ma anche urgente. Il problema, e il fatto è un po’ paradossale, sembra avere origini interne: sono gli italiani stessi che, in una sorta di coscienza autoflagellante, parlano male del Paese quando sono all’estero.
Eppure quella italiana è una società ricca di eccellenze. E non solo nel design, nella moda e nell’agroalimentare – dato unanimemente riconosciuto – ma nell’innovazione tecnologica e nella ricerca scientifica. Anche in questo caso il problema viene dall’interno ed è essenzialmente culturale: non esiste nel Paese un livello di conoscenza scientifica ragionevolmente alto. E la carenza viene già dalla scuola superiore. Se solo si riuscisse – nel sentire comune – a far avere alla cultura scientifica la stessa importanza rispetto a quella umanistica sarebbe più semplice trarre valore dai settori di eccellenza ad alto contenuto tecnologico.
Per superare questa debolezza strutturale è necessario rivalutare il percorso scientifico nel sistema della scuola superiore ed elaborare obiettivi di medio termine per il sistema Paese attraverso un Piano di Ricerca Nazionale nonché favorire innovazione tecnologica per le imprese, immettendo tecnologia anche nei settori maturi.
In futuro le imprese saranno sempre di più chiamate a fare rete: ha un buon successo un’iniziativa di Confindustria in questo senso con 362 reti per 1300 aziende. Resta il problema dimensionale: le aziende italiane crescono poco, e dunque, hanno meno possibilità di dotarsi di centri di eccellenza per la R&S e, al tempo stesso, hanno meno capacità di esportazione. Esistono però notevoli spazi di manovra: fondi esteri e aziende straniere dimostrano, laddove esista un progetto serio, di non disdegnare l’investimento in Italia e di voler contribuire alla crescita dimensionale delle aziende italiane.
Per rilanciare l’immagine del Paese diventa importante, secondo alcuni, abbandonare un’idea “patrimoniale” della cultura. Se da una parte gli italiani devono avere consapevolezza dell’immenso tesoro che secoli di storia hanno lasciato in eredità, devono però cambiare le modalità di approccio: abbandonare l’idea “patrimoniale” a favore di una cultura di creatività e del fare. Con un caveat venuto da più parti: il patrimonio, pur con le sue difficoltà di gestione, non può mai essere inteso come un freno, bensì resta una risorsa straordinaria non “delocalizzabile né sottraibile”.
Sia che si parli di scienza e ricerca che di arte e storia l’Italia – è stato osservato – ha comunque bisogno di una “cultura delle alleanze” che serve per promuovere i centri di eccellenza tecnico-scientifici e lanciarli internazionalmente secondo parametri riconosciuti a livello globale. Tale cultura vale anche per arti, in primo luogo per la scrittura: in un mondo dominato dagli anglosassoni Francia, Germania e Spagna, sono, così come l’Italia, in netta minoranza di lingua e di modelli. Vale la pena di mettere a punto progetti comuni per non scomparire di fronte all’egemonia anglo-americana.
Anche per altre “glorie nazionali” come il turismo e il calcio va immaginata, seppure con sfumature diverse, una progettualità maggiore e, soprattutto, va fatto ordine in casa. Si pensi al “pallone”: una realtà che coinvolge milioni di persone, con 700 mila partite da gestire ogni anno tra professionisti e dilettanti. Serve, si è detto, una legge sugli stadi e sono necessari interventi per immettere più sport nell’attività scolastica. Dalla scuola passa anche una più incisiva progettualità per l’arte: vanno, infatti, ripristinati e sostenuti gli insegnamenti di musica e storia dell’arte e va stretta un’alleanza strategica con le nuove tecnologie, già peraltro in atto in realtà di eccellenza come il Polo museale fiorentino. L’arte, così come le nuove tecnologie, chiamano il turismo: non a caso la rete è strategica per il rilancio di progetti di turismo integrati. Con un obiettivo: far sì che le presenze in Sicilia e Campania superino – differentemente da quanto avviene oggi – quelle della provincia di Bolzano.
La creatività italiana, famosa nel mondo, non è solo e sempre questione di genoma, ma va aiutata: la Biennale di Venezia – una riconosciuta eccellenza italiana nel mondo – ha aperto un’attività formativa “ Biennale College” per la formazione di giovani architetti da tutto il mondo. Un altro esempio di eccellenza citato è stato l’Istituto Italiano di Tecnologia che ha avuto dall’anno della sua fondazione, il 2005, una grande crescita e un riconosicuto successo internazionale. Alla base del buon risultato sono criteri di merito e parametri di valutazione internazionalmente riconosciuti. L’Istituto ha più di 1000 collaboratori, di cui il 75% italiani, il 20% dei quali rientrati dall’estero: un chiaro esempio per frenare la fuga dei cervelli.
Anche in presenza di esperienze di successo resta per l’Italia il punto debole del ruolo dello Stato che non riesce, a differenza per esempio della Francia, a fare sistema. Nella riunione si è convenuto sulla necessità di un modo diverso di gestire il sistema Paese. È necessario uscire da modi tradizionali ed evitare l’ennesimo tavolo di coordinamento o nuove cabine di regia. Quel che serve è un progetto nazionale chiaro, con precise divisioni di responsabilità. E serve soprattutto che la reputazione torni ad essere al centro dell’interesse di tutti: governo, collettività e privati cittadini.