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Attività

La dimensione “economica” della malavita

    • Milano
    • 3 Maggio 2010

          I processi di globalizzazione hanno reso più complessa la lotta alla malavita. Le attività criminali si sono allargate su scala mondiale, crescendo insieme all’internazionalizzazione degli scambi commerciali e all’intensificarsi del fenomeno migratorio. Al tempo stesso, la presenza malavitosa ha mantenuto una dimensione locale forte, basata sul radicamento territoriale e sulla penetrazione nel tessuto sociale.

          La dimensione economica delle attività criminali è difficile da indagare: il Fondo Monetario Internazionale calcola che l’attività di riciclaggio del denaro mafioso sia in Italia di 118 miliardi di euro l’anno, una cifra che, al netto delle spese, crea 90 miliardi di euro puliti  a disposizione della criminalità. Tra le principali fonti di reddito per le organizzazioni criminali non c’è solo il traffico di stupefacenti, ma anche l’usura (che in Italia genera tra i 12 e i 15 miliardi) e le estorsioni (che forniscono alle mafie 9 miliardi l’anno). Il 70% di questo denaro viene reinvestito nell’economia legale, innescando un pericoloso processo di contaminazione.

          Per combattere efficacemente questa deriva è necessaria la cooperazione fra tutti gli organi dello Stato: non solo il Governo e la Magistratura, ma anche il Parlamento che deve predisporre strumenti legislativi al passo con la mutazione dei fenomeni criminali. A questo proposito, stanno per essere introdotte innovazioni significative: ad esempio, l’estensione della tracciabilità degli appalti in tutta Italia. Inoltre, va considerata una revisione della normativa in materia di riciclaggio finalizzata a migliorare il sistema delle segnalazioni (che per il numero eccessivo risultano spesso inefficaci) e a introdurre nuove leggi sull’autoriciclaggio.

          L’azione di contrasto della malavita si sta concentrando anche sui patrimoni criminali: colpire il giro d’affari della criminalità produce necessariamente un effetto a catena che indebolisce le organizzazioni mafiose. Questa attività, inoltre, rende disponibili risorse preziose: un miliardo e 800 milioni di euro prelevati dai conti correnti sequestrati alla malavita sono già stati conferiti al Fondo unico per la giustizia. Tuttavia, il sequestro dei patrimoni non basta, bisogna anche saperli gestire. L’amministrazione rimane, infatti, un nodo complesso soprattutto quando si tratta di imprese e non di beni immobili o mobili. Per garantire un’efficace gestione delle attività imprenditoriali, sono necessarie iniziative che garantiscano una maggior rapidità di intervento. Un primo passo importante è stato fatto con la creazione dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati, ma bisogna ancora lavorare per semplificare la procedura di conferimento dei beni allo Stato, spesso troppo lunga e complessa.

          In aggiunta a ciò, è essenziale combattere l’isolamento in cui si trovano i cittadini e i funzionari pubblici che lottano quotidianamente contro la malavita. Lo Stato deve essere più attivo e presente sia attraverso una maggiore responsabilità delle prefetture (che potrebbero diventare un riferimento per chi intende investire nel Sud Italia), sia con un diverso impiego dell’esercito. Dislocare basi militari nel Sud servirebbe, non solo per la gestione dell’ordine pubblico, ma anche per avvicinare i giovani a modelli positivi di legalità e di professionalità. Infine, la Direzione investigativa antimafia potrebbe assumere (con le opportune riforme) un ruolo differente, prescindendo dai compiti di polizia giudiziaria per concentrarsi sulle attività di intelligence.
           
          Insieme al ruolo dello Stato è vitale il contributo della società civile. Le  associazioni di categoria sono necessariamente chiamate a supportare gli amministratori di imprese confiscate e gli imprenditori che si oppongono alla penetrazione criminale. A questo proposito, il modello di riferimento è il protocollo sulla legalità, esempio di cooperazione fra Stato e associazioni imprenditoriali, ideato da Confindustria Sicilia e pronto per essere esteso a tutta Italia.

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