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Una nuova cultura dell’acqua: cambiamento climatico, efficienza, infrastrutture e innovazione

  • Milano
  • 25 Novembre 2024

        Gli avvenimenti degli ultimi quattro anni, dalle epidemie globali ai conflitti armati, hanno messo in evidenza come le condizioni sociopolitiche in cui l’acqua viene fornita, gestita e utilizzata possono cambiare rapidamente. Lo sviluppo e il mantenimento della sicurezza idrica e un accesso equo ai servizi idrici sono essenziali, tra l’altro, per garantire la pace, oltre che per costruire e mantenere società prospere, ma soprattutto pacifiche. La gestione dell’acqua deve quindi considerare le nuove realtà economiche e sociali, compresi i cambiamenti geopolitici e i loro effetti sulle forniture idriche. A questi fattori, che potremmo definire “umani”, si somma l’azione dei cambiamenti climatici innescati dal riscaldamento globale – che nell’area mediterranea è superiore del 50% rispetto alla media del pianeta – con significative conseguenze sia sulla disponibilità sia sulla distribuzione dell’acqua.

        Si fanno così sempre più frequenti i fenomeni di precipitazioni estreme, con innalzamento del rischio idrogeologico, alternate a periodi di siccità come quello che ha interessato l’Italia nel 2022. A livello globale, nel periodo 2002-2021 le inondazioni hanno causato quasi 100.000 morti, con ulteriori 8.000 nel 2022, colpendo un miliardo e 600 milioni di persone – 57 milioni nel solo 2022 – e causando perdite economiche per più di 800 miliardi di dollari – 45 miliardi di dollari nel solo 2022. Nello stesso periodo, la siccità ha colpito oltre 1 miliardo e 400 milioni di persone, ne ha uccise altre 21.000, causando perdite economiche per 170 miliardi di dollari nel 2023. 

        Il continuo riscaldamento globale intensificherà il ciclo dell’acqua e aumenterà ulteriormente la frequenza e la gravità della siccità, perché si tratta di fenomeni paralleli. Gli eventi estremi, da poco verificatisi per esempio in Spagna e in Italia, evidenziano come il cambiamento più rilevante sia nella loro frequenza. 

        Sull’altro versante, sebbene anche in tempi recenti abbia attraversato un’importante crisi idrica, l’Italia ha grande disponibilità di acqua: ogni anno ne cadono 325 miliardi di metri cubi sul Paese. La distribuzione, naturalmente, varia: più del 50% delle risorse sono localizzate al nord, il 40% è distribuito tra centro e sud e solo il 7% nelle isole maggiori. Il problema sta nella gestione della risorsa, che deve saper diventare dinamica per affrontare le variazioni della sua disponibilità, potenziando ad esempio la capacità di accumulo. Tale capacità, determinante per il cosiddetto “approvvigionamento idrico primario”, passa attraverso la realizzazione di grandi infrastrutture come dighe e invasi. Del resto, l’Italia del Novecento ha saputo passare dalla variabilità climatica alla stabilità attraverso l’ingegnerizzazione del territorio, che ha rappresentato un presupposto fondamentale per l’industrializzazione. Tuttavia, oggi questo sistema sofisticato di infrastrutture e di istituzioni che vi sovrintendevano sta fallendo, principalmente perché è stato dimensionato sulla base delle statistiche del passato, ora in rapido cambiamento. 

        Si calcola che il livello di investimento necessario sia pari a 4-5 miliardi all’anno: un simile sforzo per adeguare il sistema dovrà per forza di cose prevedere un mix di capitali pubblici e privati. In particolare, le banche e gli investitori istituzionali possono svolgere un ruolo importante nel supportare il settore e agevolare l’adeguamento sinergico dei fronti evidenziati fornendo capitale, competenze strategiche e strumenti finanziari innovativi, contribuendo così allo sviluppo della risorsa idrica nel quadro più ampio della transizione green. Ad esempio, il project finance, i green bonds e le public-private partnership possono essere una valida combinazione per supportare finanziariamente questo settore. Da parte sua, il PNRR assegna 4,5 miliardi per tutelare la risorsa idrica. Le istituzioni hanno, inoltre, l’importante compito di guidare una pianificazione economica strategica che identifichi le caratteristiche e le esigenze del Paese al 2050, per programmare la costruzione di nuove infrastrutture idriche: queste ultime, infatti, sono strettamente collegate con lo sviluppo economico e a loro volta, per essere realizzate e mantenute, necessitano di una economia che le possa finanziare.

        Agricoltura e industria, del resto, non possono prescindere dalla disponibilità di acqua: a fronte di un 23% consumato in ambito domestico, il comparto agricolo italiano ne è il maggiore utilizzatore (61% del totale disponibile), con una propensione all’irrigazione fra le più elevate in Europa, mentre quello industriale (16%) la utilizza sia nel processo produttivo sia per il raffreddamento dei macchinari o il lavaggio degli impianti. Una gestione davvero dinamica della risorsa – oltre a contrastare il fenomeno della dispersione idrica – non può prescindere dalla promozione del riuso di acque reflue, del recupero di acque meteoriche e di una gestione integrata tra comparti civile, agricolo e industriale. Vale la pena di ricordare un’ulteriore applicazione della risorsa idrica, quella legata alla produzione energetica: l’idroelettrico è ancora oggi la principale fonte di energia rinnovabile e rappresenta il 42% della produzione, ma è fortemente dipendente dalle precipitazioni tanto che nel 2022, anno di siccità, c’è stato un calo di produzione del 40%.

        Per quanto riguarda l’uso civile dell’acqua, bisogna notare come negli ultimi anni, con l’attribuzione delle competenze in materia all’Arera, siano sensibilmente aumentati gli investimenti nel settore: si è passati da circa 30-35 euro per abitante a 70, molto più vicini a una media europea che è di circa 80 euro. Questa accelerazione è dovuta principalmente alla stabilità della regolamentazione, che ha permesso agli investitori di agire con maggiore serenità, vedendo riconosciuto all’acqua un valore economico, insieme a quello di bene comune. L’attuale fase vede l’Autorità impegnata nella razionalizzazione della governance dell’acqua, in uno scenario che registra alcune migliaia di operatori attivi, tra cui una grande quantità di comuni che la gestiscono in autonomia. Tale frammentazione, per comparti ma anche per territori, rischia di rappresentare un freno tanto negli investimenti quanto nella gestione industriale del servizio idrico, che sembra essere un prerequisito essenziale per sostenere gli investimenti necessari all’adattamento e alla crescita. La misurazione e la valorizzazione della risorsa, che sono stati alla base dell’azione dell’Autorità in ambito civile, potrebbero essere parametri utili per il ripensamento del consumo idrico in agricoltura, anche attraverso l’attribuzione all’Arera di competenze sul settore.