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Tra innovazione e transizione, il futuro dell’automotive

  • Milano
  • 7 Novembre 2022

        I cambiamenti che la filiera dell’industria automobilistica si trova oggi ad affrontare hanno una peculiarità quasi unica: nascono al suo esterno. Questo significa che, forse per la prima volta, un intero settore si trova a dover attuare una transizione epocale in seguito a decisioni quasi esclusivamente politiche e non a una domanda del mercato. Tali scelte sono frutto in parte di una rinnovata sensibilità ambientale, anche in seguito a episodi come quello del dieselgate risalente al 2015, in parte delle strategie di grandi Paesi, come ad esempio la Cina che – anche per superare la dipendenza tecnologica dall’Occidente – a partire dal quinquennio 2011-2016 ha deciso di abbandonare la tecnologia del motore a combustione interna per puntare con forza sull’elettrico. Il pareggiamento dei livelli nella competizione sulle tecnologie che ne è derivato, unito alla grande facilità di accesso alle materie prime, ha rappresentato un importante vantaggio per il Paese asiatico.

        Queste sono solo alcune delle sfide che mettono a dura prova il comparto dell’automotive europeo e in modo particolare quello italiano, che già nel corso degli ultimi decenni ha visto diminuire la propria centralità: solo per fare un esempio, la produzione annua di automobili nel Paese è passata da 1,6-1,7 milioni di esemplari negli Anni ‘80 e ‘90 ai circa 410 mila di oggi. Tuttavia, le imprese attive nel settore – considerando oltre alla trasformazione industriale anche le attività di noleggio, commercio e riparazione – sono circa 120 mila, impiegano più di 550 mila addetti e realizzano un fatturato superiore ai 200 miliardi di euro. Sebbene la transizione ecologica impatti maggiormente sulle aziende che si occupano della motorizzazione, se tale transizione non viene adeguatamente controllata e accompagnata, il costo in termini occupazionali – e quindi sociali – rischia di essere molto maggiore rispetto ai benefici per l’ambiente: la Commissione Europea stima che il passaggio all’auto elettrica possa determinare la perdita di circa 600 mila posti di lavoro a livello continentale.

        Naturalmente, come ogni “rivoluzione”, anche questa porta con sé molte opportunità di innovazione e di crescita. La filiera italiana ha già dimostrato in molte occasioni di possedere la resilienza per rispondere alle crisi e le risorse per anticipare i cambiamenti. Se lo scivolamento del baricentro del principale produttore italiano fuori dai confini nazionali verificatosi negli ultimi ha avuto forti ripercussioni su tutto l’indotto, questo offre anche l’occasione di creare nuove partnership tra le aziende grandi, medie, piccole e piccolissime che costituiscono la filiera. In particolare, da queste alleanze – e da un rapporto più stretto con il mondo dell’università per puntare sulla ricerca – può venire un nuovo impulso all’innovazione di progetto e di processo, a sua volta capace di attirare grandi investimenti anche dall’estero. Centrali diventano, così, lo studio dei nuovi materiali – anche per rispondere alla carenza di materie prime – e delle diverse tecnologie di propulsione, su alcune delle quali è ancora necessario procedere in parallelo per capirne meglio costi e benefici nel percorso verso la decarbonizzazione prevista per il 2030-2035. Anche in questo settore, inoltre, la catena di produzione tradizionalmente lineare deve diventare circolare, in un’ottica di sostenibilità complessiva del ciclo di vita del prodotto, dalla sua progettazione fino alla sua dismissione e al possibile riciclo.

        In parallelo, il principale “oggetto” della produzione automotive – cioè l’automobile – attraversa un periodo di profondo cambiamento nella percezione e nelle modalità d’uso da parte dei consumatori. Se dal punto di vista culturale il conseguimento della patente di guida non è più uno spartiacque nel corso della vita, anche il semplice possesso di un mezzo di trasporto non sembra essere oggi imprescindibile, soprattutto per le nuove generazioni e per gli abitanti delle grandi città. All’idea di auto come status symbol si sostituiscono nuove modalità di fruizione, che vanno dal car-sharing al pay per use, in uno scenario generale che vede la diffusione del modello di mobility-as-a-service, e che trova conferma nel fatto che il prezzo per l’acquisto di un veicolo viene oggi affiancato da inedite formule finanziarie o da canoni di abbonamento. Tutte queste dimensioni devono essere considerate nella fase di progettazione e di realizzazione degli autoveicoli del futuro e in questo la creatività tipica dell’industria italiana avrà un ruolo importante.

        Affinchè questa delicata fase possa svolgersi con successo, è necessario che tutti facciano la loro parte: le banche, mostrandosi pronte a sostenere gli importanti investimenti richiesti; gli imprenditori, puntando sul rafforzamento patrimoniale e dimensionale delle proprie imprese, anche attraverso operazioni di aggregazione, fusione e acquisizione; e infine le istituzioni europee e nazionali, offrendo la cornice di un quadro regolatorio certo e di una politica industriale lucida, razionale e lungimirante.