Vai al contenuto

The future of capitalism

The future of capitalism
  • Roma
  • 26 Maggio 2024
  • 27 Maggio 2024

        Il capitalismo si può considerare un metodo di gestione degli scambi di beni e servizi da sempre in evoluzione: non è mai stato disegnato a tavolino, sebbene sia orientato, direttamente o indirettamente, da scelte politiche. 

        Oggi sta attraversando una transizione verso qualcosa che non ha ancora contorni ben definiti. Il periodo attuale sembra caratterizzato, infatti, dalla difficile convivenza di tendenze e approcci diversi, il che lo rende arduo da definire anche in termini teorici. Si è comunque di fronte a una situazione di compromesso, con continui aggiustamenti pragmatici in cui non prevale alcuna posizione rigorosamente ideologica. Di fatto, qualsiasi governo cerca una combinazione di efficienza (mercati e profitti) e welfare (spesa sociale), per tenere in un precario equilibrio le esigenze della crescita e quelle della stabilità politica. Guardando a questa dinamica in termini di Stati e mercati, si deve ricordare che lo stesso concetto di capitale può esprimersi sotto forma di capitale “istituzionale”: lo Stato di diritto è un pilastro fondamentale di un sistema capitalistico funzionale, proprio per garantire un buon equilibrio tra istituzioni politiche e meccanismo di mercato. 

        In risposta ai mutamenti più strutturali, inoltre, le considerazioni di sicurezza vanno oggi incorporate in modo più coerente nelle valutazioni economiche. Questa esigenza ha dirette implicazioni per i rapporti transatlantici, visto che le due sponde dell’Atlantico hanno sviluppato approcci diversi a questo delicato equilibrio (sicurezza/economia), ma hanno bisogno l’una dell’altro nel perseguimento dei rispettivi obiettivi strategici. Nel complesso, l’UE ha un tasso di dipendenza maggiore rispetto agli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo: per le capacità di “hard security”, per l’innovazione tecnologica in settori strategici come quello digitale, e in certa misura per i mercati. Gestire un difficile triangolo con Stati Uniti e Cina è dunque un’esigenza praticamente ineludibile per gli europei.

        Il problema per il sistema globale diventa, in ogni caso, ancora più acuto se le tensioni economico-commerciali contagiano direttamente i rapporti di sicurezza, perché chiaramente si può produrre, deliberatamente o meno, un effetto di decoupling che è dannoso per tutti – privilegiando un parziale recupero di autonomia nazionale o regionale rispetto alla pura efficienza produttiva. C’è in realtà un continuum che va dalla diversificazione a un selettivo derisking (rispetto a Paesi che si considerano problematici per ragioni politiche) fino alle guerre commerciali, alle sanzioni economiche e alla coercizione economica. Le scelte di politica economica sono rese ancora più difficili dalle lunghe catene del valore, con le fasi della produzione di beni e servizi che vengono distribuite tra Paesi diversi, coinvolgendo molteplici passaggi transfrontalieri.

        In questo quadro, le sfide più recenti, come l’adozione diffusa dei sistemi di intelligenza artificiale, spingono ulteriormente verso un maggiore intervento pubblico, ma anche verso soluzioni populistiche che mobilitano gli elementi più nazionalistici delle società avanzate. Alcune delle ricette proposte per gestire il mondo del lavoro possono in effetti generare ulteriori problemi, visto che la chiusura rispetto alla concorrenza o il rifiuto dell’innovazione (magari per eccesso di regolamentazione) rischiano di penalizzare ulteriormente la crescita. A questo punto si può innescare un circolo vizioso politico-economico, capace di mandare in crisi i sistemi di welfare e il loro stesso ruolo di salvaguardia sociale, in mancanza di sufficienti risorse pubbliche. Alcuni osservatori ritengono, inoltre, che le politiche sociali siano comunque inadeguate in mancanza di crescita, soprattutto se si ritiene che la priorità sia non tanto la concessione di sostegno temporaneo quanto l’offerta di posti di lavoro. E non è neppure certo che l’aumento dell’istruzione sia una soluzione generalmente efficace per favorire l’occupazione, viste le difficoltà nel matching tra domanda e offerta.

        Complessivamente, c’è un ampio consenso sul fatto che il capitalismo si trova in una fase di transizione, che tuttavia non ha ancora acquisito contorni chiari e conserva molte caratteristiche tradizionali. Si tratta comunque di un metodo di gestione dei rapporti economici che ha dimostrato sorprendenti capacità di adattamento e dunque percorsi evolutivi a volte imprevisti. La fase attuale potrebbe rivelarsi una di queste transizioni graduali e parziali, invece di una trasformazione radicale.

          Contenuti correlatiVersione integrale della ricerca